È possibile riconoscere la presenza di una persona che non ha più un corpo?
Come facciamo a sapere che si tratta proprio di chi abbiamo amato e non di un prodotto della nostra fantasia?
È il dolore che spinge a cercare una consolazione nel sogno di una vita che continua dopo la morte, o davvero ci si può ritrovare ancora?
Per rispondere a queste domande è indispensabile cambiare prospettiva e osservare gli eventi con lo sguardo del cuore, senza lasciarsi intrappolare negli stereotipi culturali che ammalano la civiltà.
Nella nostra cultura, il cuore è considerato una romanticheria adatta a persone poco concrete, inattendibili e con la testa tra le nuvole.
Le cose reali sono quelle che si possono quantificare, misurare, calcolare e, possibilmente, trasformare in business.
L’economia detta legge in tutti i settori e arriva a sindacare persino nelle profondità di noi stessi.
Viviamo nella dittatura del sistema produttivo e l’arroganza monetaria ha trasformato i sentimenti in smancerie, prive d’intelligenza.
Per inseguire il reddito dimentichiamo che il benessere e la salute affondano le radici dentro una soggettività fatta soprattutto di sensibilità.
La crescita esponenziale di tante patologie psicologiche indica una falla nella gestione materialista della vita e segnala l’urgenza di un cambiamento capace di ridare valore al mondo intimo di ciascuno.
L’amore è un fatto personale: poco quantificabile, poco misurabile, poco riproducibile in laboratorio.
E, per questo, è stato dichiarato scientificamente: inesistente.
Eppure, l’amore è reale.
Lo sanno con certezza tutti quelli che ne sperimentano gli effetti dentro di sé.
La sensibilità ha un potere che non si può comprare e permette alla vita di dispiegarsi nelle sue infinite possibilità.
L’amore è uno stato d’animo.
Perciò, è sempre un fatto personale.
Ognuno lo vive a modo suo.
Questo non significa che non esista.
La vita psichica è soggettiva.
Soggettiva non vuol dire inesistente.
Vuol dire che ognuno se ne assume la responsabilità, senza dover cercare all’esterno le conferme necessarie a convalidare ciò che vive.
Tutta la psicologia poggia sull’assunto di una soggettività che si fa legge e diventa verità per chi la sperimenta.
Agli specialisti della psiche non verrebbe mai in mente di mettere in dubbio l’autenticità dei vissuti interiori.
Tuttavia, nessuno psicologo si sognerebbe di estendere la soggettività, trasformando in verità universali le percezioni individuali.
Per la psicologia: realtà, verità, soggettività ed emotività, camminano a braccetto, accompagnando ogni persona lungo un percorso unico, ricco di realtà e di significato.
La ricerca scientifica basata sulla riproducibilità è funzionale alle statistiche e ai business, ma non si adatta alle esperienze interiori che trovano il proprio valore nella sensibilità individuale.
La perdita di una persona cara è un evento personale.
Addentrasi nel mondo intimo della percezione della morte ci porta a esplorare una realtà che trova nella ricettività di ciascuno le proprie conferme.
È un concetto difficile da digerire in una società che pretende di cancellare i sentimenti e ha trasformato il consumo nell’unico obiettivo degno di valore.
Ma l’amore e l’economia sono diversi e non possono essere valutati con gli stessi strumenti.
Quando affrontiamo il tema di una continuità dopo la morte, dobbiamo usare i codici della psiche ed esplorare gli accadimenti permettendoci di convalidare gli incontri sulla base della nostra esperienza personale.
Le persone che non hanno più il corpo per coltivare una relazione hanno bisogno di comunicare in un profondo legame emotivo.
E il legame emotivo è qualcosa che succede dentro, non fuori, di noi.
Perciò le prove necessarie alla ricerca scientifica (sperimentale e ripetibile) sono inadatte.
Occorre spostare il punto di vista e permettersi di credere alle percezioni interiori, sviluppando un ascolto fatto di sensazioni, di simboli, di archetipi, di visioni, di improvvise rivelazioni, di emozioni indefinibili e di magia.
Perché sono proprio queste le peculiarità della vita emotiva.
E perché all’interno di quei piani della coscienza possiamo incontrare chi abbiamo amato.
Bisogna tenere sempre presente, però, che la personalità è strettamente intrecciata alla fisicità e la mancanza di fisicità cambia l’identità.
Per questo motivo la pretesa di ritrovare i nostri cari nelle stesse forme in cui li conoscevamo quando possedeva il corpo è destinata a essere delusa.
Quando il corpo muore muore anche la personalità.
E quell’insieme di atteggiamenti e comportamenti, che determinavano il carattere durante l’esperienza materiale, va perduto.
Questa è una delle principali ragioni che ci spingono a rifiutare la continuità della vita dopo la morte.
Il dolore e la mancanza ci inducono a cercare le persone che abbiamo amato nelle loro sembianze del passato e a volerle ritrovare con le modalità che un tempo le hanno rese uniche e speciali, ma questa aspettativa di continuità non permette di evolvere il legame e inibisce l’ascolto interiore.
Dopo la trasformazione che si accompagna alla perdita del corpo, i nostri cari sono diversi da prima e, per poterli incontrare, è indispensabile accettare la loro evoluzione.
Quando il corpo e la personalità non ci sono più, ciò che resta è una profonda consapevolezza di sé affrancata dagli aspetti necessari a muoversi nella vita fisica.
Dopo la morte l’amore si libera dai bisogni di appartenenza e riconoscimento, e può esprimere se stesso in una totalità più ampia, più profonda e più intima.
Per ritrovare i nostri cari dobbiamo essere pronti a seguirli nel percorso di cambiamento e accettare le trasformazioni che la morte del corpo porta con sé.
Solo così diventa possibile coltivare i legami, evolvendo insieme nella capacità di amare.
Ecco perché, di solito, le immagini che i disincarnati utilizzano sono un’icona, necessaria soltanto per farsi riconoscere.
Al di là di quella percezione si estende il mondo impalpabile della loro realtà, lo spazio della coscienza in cui dobbiamo imparare a protenderci per creare un ponte che avvicini le dimensioni e permetta all’amore di fluire.
Oltre i limiti dello spazio, del tempo e della corporeità.
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