Quando muore una persona cara, il dolore della perdita impedisce di coltivare il legame costruito durante la vita del corpo e rende impossibile percepirne ancora la presenza.
La morte è uno scrollone inammissibile per la ragione, abituata a misurare, pesare, valutare e pianificare.
Nell’immaginario collettivo la mancanza di un corpo fisico corrisponde alla fine di tutto e il silenzio che avvolge la relazione affettiva recide come una rasoiata ogni possibilità di ritrovarsi.
Le religioni e la scienza, entrambe con i loro dogmi, impediscono alla consapevolezza di far fronte alla perdita e al cambiamento conseguenti alla morte, alimentando una fede cieca e ingenua.
“Dopo la morte soltanto Dio decide cosa ci aspetta!”
Asserisce la religione cattolica, chiudendo le porte a qualunque verifica individuale.
“Dopo la morte non c’è più niente!”
Affermano amaramente gli scettici, delusi dalle spiegazioni sacre e devoti al sapere di una conoscenza scolastica ormai superata.
Pochi animi liberi hanno il coraggio di avventurarsi in una ricerca capace di restituire dignità, pregnanza ed esistenza anche a chi ha perduto per sempre la fisicità.
Eppure…
La spiritualità sussurra, nell’intimo di ciascuno, l’esistenza di una realtà impalpabile ma capace di interagire con gli eventi che ci succedono, mentre le nuove frontiere della fisica descrivono un’immaterialità più significativa della materia, e la psicologia evidenzia l’importanza di uno spazio interiore che trascende la corporeità e la condiziona.
Le più recenti rivelazioni scientifiche confermano l’esistenza di un’incorporeità fatta di possibilità infinite, un’onda di probabilità che collassa nelle forme materiali solo quando la nostra attenzione ne determina la concretezza.
Ciò che crediamo e pensiamo, insomma, ha un impatto sugli avvenimenti e rende possibile o impossibile la conoscenza della vita dopo la morte.
Siamo vittime di una dittatura della materialità che impedisce al pensiero di avventurarsi oltre il limite della fisicità e rende impossibile ascoltare la voce intima dell’intuizione.
La mancanza di una corretta informazione scientifica, unita a una sorta di superstizione religiosa, paralizza ogni possibilità di incontrare chi abbiamo amato, quando questi non possiede più un corpo fisico.
Superare le barriere delle nostre abitudini mentali non è un’impresa da poco.
Occorre determinazione, forza di volontà e spirito di ricerca per oltrepassare i limiti imposti dal materialismo e aprirsi alla comprensione di un mondo fatto di sensazioni e soggettività.
La paura di essersi inventati ogni cosa imprigiona le certezze interiori dentro la pretesa di una scientificità scolastica, ormai superata.
Oggi la soggettività è la nuova epistemologia della ricerca scientifica, il presupposto indispensabile per studiare le cose con obiettività.
Per la scienza moderna, infatti, la percezione di ciò che succede è sempre soggettiva e, solo nel riconoscimento di quella soggettività, diventa possibile costruire un’ipotesi rigorosa.
La psicologia ha affermato l’importanza di una comprensione individuale della vita, sostenendo che nella soggettività si nascondono i semi del benessere o del malessere, e il significato profondo di ogni esistenza.
Nella scuola dell’obbligo, però, non si parla di tutto questo, la scienza è ancora quella, ormai datata, degli esperimenti oggettivi.
La fisica quantistica è esclusa dai programmi ministeriali e il buon senso comune, imbevuto di nozioni superate, impedisce all’amore di ritrovare i nostri cari dopo la loro morte.
Avventurarsi fuori dalle colonne d’ercole dell’indottrinamento scolastico è difficile.
Eppure…
Quando il dolore appesantisce il cuore, la speranza di incontrare di nuovo chi abbiamo amato spinge a superare i pregiudizi e incoraggia l’anima ad avventurarsi nel mondo scivoloso e imprendibile della soggettività e dei sentimenti.
È lì, infatti, che possiamo incontrare i nostri cari.
Solo dando ascolto al silenzio che sussurra nel mondo interiore diventa possibile distinguere la Vita anche oltre la vita, e riconoscere, nell’imprendibile assenza della fisicità, la voce delle persone cui abbiamo voluto bene e che ancora si raccontano al nostro cuore con il linguaggio senza parole dei sentimenti.
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