In questo mondo malato di violenza è più facile parlare di sesso che condividere i sentimenti.
Proviamo vergogna nel manifestare le emozioni e cerchiamo di non mostrarle, come se fosse possibile e normale non averne affatto.
Riteniamo che l’imperturbabilità, la freddezza, l’indifferenza siano qualità auspicabili, pregi da conquistare, piuttosto che difetti da correggere.
Perciò impegniamo tempo, fatica e risorse nel tentativo di raggiungere un’impassibilità capace di renderci simili a dei robot senza cuore.
Poi, quando capita che i sentimenti tracimino (superando il controllo razionale che imponiamo a noi stessi) ci sentiamo in pericolo, ridicoli, vulnerabili e stupidi.
La nudità dell’anima crea più imbarazzo di quella del corpo.
Siamo convinti che non provare emozioni sia indice di equilibrio e maturità, e giudichiamo l’emotività una caratteristica dell’infanzia o dei deboli.
Chi si occupa di salute mentale, però, sa che, invece, è vero proprio il contrario!
Le persone equilibrate e mature sono capaci di accogliere e condividere le emozioni senza censurarle e senza vergognarsene.
Riconoscere i sentimenti, nominarli, viverli è una prerogativa fondamentale dell’intelligenza, più di qualunque altra capacità.
Tecnici esperti hanno tentato di riprodurre l’emotività con la tecnologia ma non sono riusciti a programmarla.
La sensibilità è un requisito talmente sofisticato e prezioso da risultare indecifrabile (e certamente impossibile da duplicare) per qualunque congegno progettato dal’uomo.
Eppure…
Questa caratteristica inestimabile è considerata disdicevole e imbarazzante dalla maggior parte delle persone!
Si preferisce somigliare alle macchine piuttosto che riconoscere la propria umanità davanti agli altri.
Personalmente ritengo che questo atteggiamento di disprezzo verso la sensibilità non sia casuale e risponda a interessi ben precisi.
Gettare discredito sui sentimenti fa parte di ciò che chiamiamo: cultura.
La nostra civiltà propone in questo modo un mondo progredito.
Un mondo a misura del business più che dell’umanità.
Un mondo il cui fine ultimo è far funzionare l’economia.
Ci viene fatto credere che la nostra sopravvivenza, le condizioni adeguate per vivere, dipendano dal buon andamento del mercato, della borsa, della finanza e del commercio, ma, ad un più attento esame, la sopravvivenza in questione riguarda sempre e solo la salvaguardia dei pochi che governano i molti.
E il sistema economico (sul quale costruiamo le nostre certezze) è un sistema che tiene la gente incatenata dentro una gabbia, in nome della civilizzazione.
Questo sistema ci chiede di rinunciare alla nostra autenticità, alla nostra umanità, al nostro sentire, al nucleo più vitale di noi stessi, in cambio di un riconoscimento sociale che trasforma la gente in automi privi di personalità.
Per sentirci integrati nella società dobbiamo possedere tante cose ritenute indispensabili e in grado di renderci amabili, rispettabili, apprezzabili… ma per averle nascondiamo l’amore, rinunciamo al rispetto, abiuriamo la spontaneità.
Poi ci sentiamo vuoti e soli perché il benessere, acquistato con tanti soldi, fatica e sacrifici, non colma la perdita dell’umanità. Non può sostituire la deprivazione della nostra personale verità.
Senza emozioni si vive male.
Ciò che sentiamo, gli stati d’animo, i vissuti interiori sono il tessuto che forgia la vita, la nostra ricchezza, il nostro potere.
La depressione, la totale mancanza di emozioni, priva l’esistenza di significato e spinge a desiderare di morire.
L’emotività è un’energia, il nucleo della personalità, il centro creativo da cui prende vita l’unicità di ciascuno.
Ridurla, amputarla, eliminarla significa privare se stessi della forza vitale e rifiutare il senso della propria esistenza.
La sofferenza mentale è in aumento, si moltiplicano i casi di atti violenti e criminali, assistiamo al dilagare di malattie sempre diverse e sempre più insidiose ma non ci rendiamo conto che tutte queste patologie sono la conseguenza di uno stile di vita che ci costringe a rinunciare alla parte più vera di noi stessi, privandoci del nostro cuore pulsante di sensibilità, negando ciò che rende importante e preziosa l’esistenza.
Senza emozioni il sistema nervoso perde la sua funzionalità, il sistema immunitario impazzisce e l’intelligenza emotiva si frantuma.
Riprendiamoci il diritto di avere un cuore.
Salviamo la nostra sensibilità dall’estinzione.
Amare, piangere, commuoversi, intenerirsi, essere gentili… sono aspetti importanti della vita.
Sono la vita stessa.
La nostra intima, profonda, verità.
Non si può rinunciare alle emozioni senza perdere anche la dignità.
One thought on “RIPRENDIAMOCI IL DIRITTO DI AVERE UN CUORE!”
Ritengo che non abdicare alle emozioni comporti una forza interiore che pochi riescono a sentire in sè stessi. Uso il verbo abdicare poichè mi pare ciò che effettivamente accade quando un essere umano si rende conto della assoluta incomunicabilità con tutti gli altri suoi simili (ad eccezione di storie d’amore e/o d’amicizia estremamente rare). D’altra parte dette storie d’amore eccetera, per definizione, comportano un cuore aperto .. e un tale cuore non ha bisogno di strizzacervelli: è una luce a sè stesso. Il problema grande è che l’uomo – da sempre dico, non solo nella società capitalista – è intrappolato nel pensiero, nel funzionamento in base al principio ‘guadagno/perdita’: se non ne esce .. vabbè diciamo se non comincia ad uscirne, rimane sostanzialmente un “computer animale”, un essere programmato dalla tradizione. Questa tradizione si chiama “analisi”. Un famoso maestro diceva “Analysis is paralysis”. Da lì non si passa. Lei dice “Amare, piangere, commuoversi, intenerirsi, essere gentili… sono aspetti importanti della vita.
Sono la vita stessa.” Ed è realmente così anche secondo me: il nostro cuore è inaridito. Non è neppure che non proviamo emozioni, ma le riserviamo ad una cerchia ristrettissima e rimaniamo abbottonati con tutti gli altri. Non voglio (con tutto il rispetto) farmi guidare da alcun libro, solo – ed è il motivo del mio commento – ho rilevato nei miei 64 anni di vita che è molto molto difficile trovare qualcuno realmente aperto e pressochè impossibile aiutarlo ad aprirsi senza risolvere la faccenda dell’ego, senza che avvenga una intuizione su natura e struttura del pensiero e sulla falsità del divenire “psicologico”. In ogni caso sono d’accordo col 100% di ciò che ha scritto sopra, bisogna esigere l’impossibile! Volevo solo evidenziare la difficoltà di uscire dall’infernale meccanismo della memoria che ci domina e ci fa ripetere sempre le stesse cose! Saluti. Aldo.
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Ritengo che non abdicare alle emozioni comporti una forza interiore che pochi riescono a sentire in sè stessi. Uso il verbo abdicare poichè mi pare ciò che effettivamente accade quando un essere umano si rende conto della assoluta incomunicabilità con tutti gli altri suoi simili (ad eccezione di storie d’amore e/o d’amicizia estremamente rare). D’altra parte dette storie d’amore eccetera, per definizione, comportano un cuore aperto .. e un tale cuore non ha bisogno di strizzacervelli: è una luce a sè stesso. Il problema grande è che l’uomo – da sempre dico, non solo nella società capitalista – è intrappolato nel pensiero, nel funzionamento in base al principio ‘guadagno/perdita’: se non ne esce .. vabbè diciamo se non comincia ad uscirne, rimane sostanzialmente un “computer animale”, un essere programmato dalla tradizione. Questa tradizione si chiama “analisi”. Un famoso maestro diceva “Analysis is paralysis”. Da lì non si passa. Lei dice “Amare, piangere, commuoversi, intenerirsi, essere gentili… sono aspetti importanti della vita.
Sono la vita stessa.” Ed è realmente così anche secondo me: il nostro cuore è inaridito. Non è neppure che non proviamo emozioni, ma le riserviamo ad una cerchia ristrettissima e rimaniamo abbottonati con tutti gli altri. Non voglio (con tutto il rispetto) farmi guidare da alcun libro, solo – ed è il motivo del mio commento – ho rilevato nei miei 64 anni di vita che è molto molto difficile trovare qualcuno realmente aperto e pressochè impossibile aiutarlo ad aprirsi senza risolvere la faccenda dell’ego, senza che avvenga una intuizione su natura e struttura del pensiero e sulla falsità del divenire “psicologico”. In ogni caso sono d’accordo col 100% di ciò che ha scritto sopra, bisogna esigere l’impossibile! Volevo solo evidenziare la difficoltà di uscire dall’infernale meccanismo della memoria che ci domina e ci fa ripetere sempre le stesse cose! Saluti. Aldo.