Si parla tanto di alimentazione, di ricette, di stili di vita sani e naturali… ma della dipendenza che oggi accompagna l’alimentazione non si fa parola.
È vero: mangiare è indispensabile, tuttavia tra l’istinto di sopravvivenza e la cultura gastronomica scorre il fiume della manipolazione commerciale. E questo rende molto difficile ascoltare i bisogni del corpo senza lasciarsi trascinare dal desiderio compulsivo di mettere qualcosa sotto i denti.
Negli anni duemila il cibo è diventato lo psicofarmaco più gratificante ed economico che si possa trovare sul mercato.
Libero dall’obbligo della ricetta medica, sempre a disposizione e senza nessun limite nelle quantità.
La sollecitazione alimentare è talmente diffusa che possiamo essere sicuri di trovare un distributore automatico di coca cola anche nel deserto.
Ma quando diciamo cibo cosa intendiamo?
Il vocabolario parla di: sostanze assimilabili dall’organismo e necessarie per la nutrizione e sembra riferirsi a tutto ciò che mangiamo e beviamo ai fini del nostro sostentamento fisico.
Però, a ben guardare, pochi cibi oggi sono davvero utili per il sostentamento fisico.
La maggior parte delle sostanze che ingeriamo più che dare forza al corpo lo intossicano, creando nell’organismo una pericolosa dipendenza che non calma la fame e spinge a mangiare sempre di più.
Sui cartelloni pubblicitari le immagini patinate delle modelle ci propongono corpi evanescenti e filiformi, che frustrano il nostro bisogno di riconoscimento sociale (facendoci sentire costantemente sovrappeso e in colpa per ciò che abbiamo messo nello stomaco) e incrementano ancora una volta la dipendenza dal cibo.
Quando il peso forma appare irraggiungibile, infatti, l’insoddisfazione annega i dispiaceri nell’alcol e nelle pietanze dando vita a un circolo vizioso, che incrementa la depressione e i guadagni delle multinazionali alimentari e farmaceutiche.
Sulle pagine dei giornali occhieggiano tante soluzioni miracolose: per ridurre il giro vita, eliminare la cellulite, superare la prova costume… e trasformarci magicamente in favolose star dal corpo luccicante e perfetto.
Soluzioni che, ancora una volta, esibiscono modelle dal fisico tonico e statuario, difficilmente emulabili senza l’aiuto di Photoshop.
Così, possiamo spendere un patrimonio in farmacia, provare l’ultima novità in fatto di diete, rifiutarci di seguire le mode e accettare il nostro corpo sformato dai chili di troppo, smettere di mangiare radicalmente e cadere nell’anoressia… o correre dal nutrizionista e dallo psicologo per analizzare il rapporto patologico che abbiamo instaurato col cibo.
Tutte le soluzioni mancano il bersaglio della salute perché bypassano il problema nascosto dietro ogni scelta: la tossicodipendenza alimentare che ammala il nostro mondo occidentale e sta distruggendo il pianeta, molto più di qualsiasi guerra.
Mangiare oggi non è soltanto un modo per mantenersi in vita, è diventato un business di proporzioni gigantesche che tiene in piedi l’industria della violenza e della morte dietro la sbandierata necessità di nutrirsi per vivere.
Interessi milionari girano intorno ai nostri pasti e manipolano la psiche, rendendoci schiavi di un marketing difficile da immaginare per chi si affanna a far quadrare lo stipendio alla fine del mese.
Ben lontani dai reali bisogni della sopravvivenza, il pranzo e la cena sono diventati gli strumenti con cui le multinazionali alimentari tengono in pugno la nostra volontà, costringendoci a comprare ogni genere di vettovaglie e di utensili, utili solo ad arricchire i pochi che governano il mondo grazie alla docile ingenuità dei tanti.
In questo quadro pericolosamente allarmante diventa indispensabile liberarsi dal velo che ottunde le coscienze durante la digestione e riappropriarsi del proprio corpo e della propria volontà, compiendo scelte volte a ristabilire il benessere psicofisico e non il patrimonio di chi lucra sulla salute.
Essere finalmente liberi di mangiare significa riprendere in mano le chiavi della propria vitalità e uscire dalla trappola che sta distruggendo il mondo, per fare spazio a un’etica alimentare rispettosa delle reali esigenze di ciascuno e di ogni forma di vita sul pianeta.
Significa imparare a selezionare le informazioni e a sperimentare sulla propria pelle le soluzioni adatte alla salute, fino a costruire un percorso che dal metadone alimentare conduca a una ritrovata autonomia.
Non solo nella scelta del cibo, ma anche nelle scelte di vita e, soprattutto… delle informazioni.
Le informazioni, infatti, vanno selezionate, vagliate, valutate e sperimentate per riuscire a distinguere il vero dal falso, la bramosia del guadagno di chi vende dalle reali necessità di chi compra.
Oggi mangiare non è più legato al sostentamento individuale, è diventata una scelta politica.
E il cambiamento che vorremmo vedere nel mondo passa attraverso soluzioni alimentari nuove, rispettose della vita e della salute e orientate a renderci liberi da una schiavitù che incatena l’anima verso preferenze pilotate ad arte e prive di una reale condivisione da parte di chi le manifesta.
Per fare la rivoluzione non serve più scendere in piazza e protestare, è necessario manomettere il business che incatena le coscienze dentro una dipendenza invisibile e mortale.
Occorre liberare il corpo e la psiche dall’intossicazione che sta distruggendo il mondo e si trasmette nei gesti di sempre, nascosta dietro l’amore che accompagna la condivisione del cibo.
Scegliere di cambiare il proprio modo di nutrirsi è un’impresa coraggiosa, adatta a chi ha deciso di uscire dalla sottomissione anche a costo di sfidare se stesso, perché:
“Di qualche cosa si deve pur morire!”
Ma morire di vecchiaia in modo naturale è ben diverso che morire di obesità in un mondo malato di sopraffazione.
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