La donna che decide di prestare il proprio corpo per accogliere un bambino non suo e permettere la genitorialità anche a chi, altrimenti, non potrebbe farne esperienza, compie un gesto d’amore tra i più discussi, incompresi e vessati.
Soprattutto in Italia.
Viviamo nella cultura dell’avere, del diritto e del possesso.
Diciamo:
“Mio marito, mia moglie, i miei figli…”
e decretiamo la proprietà, oltre che sugli oggetti, anche sulle persone.
Nella nostra società, basata sul commercio e sul potere, appare assurda l’idea che si possa ricevere nel grembo una piccola vita per poi donarla ai genitori, impossibilitati a concepire.
Come si può portare nel corpo un bambino… per poi lasciarlo tra le braccia di un’altra mamma?!
O, addirittura, di due papà!
Sembra uno strappo inconcepibile!
Per il bambino e per la donna che lo ha partorito.
Tanti anni fa, esistevano delle persone che offrivano il latte del proprio seno, gratuitamente o in cambio di un compenso.
Erano mamme che allattavano il cucciolo di un’altra, quando questa non poteva farlo da sé.
Si chiamavano balie ed erano considerate buone, generose, altruiste e materne.
Anche se ricevevano dei soldi in cambio del loro servizio.
Erano tempi diversi da oggi e a nessuno sarebbe venuto in mente di accusarle di sfruttare la maternità per arricchirsi.
Al contrario, la loro opera era considerata preziosa, perché permetteva ai bambini di crescere sani e alle loro mamme di sentirsi bene, anche quando non erano in grado di allattarli personalmente.
Tra la mamma e la balia si creava un rapporto di solidarietà.
E i piccoli, una volta diventati grandi, le ricordavano con gratitudine e affetto, come fossero delle “seconde mamme” senza il cui aiuto la vita sarebbe stata dura o, forse, impossibile.
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L’allattamento rappresenta un momento indispensabile per lo sviluppo emotivo, perché permette di ricreare quel legame intimo ed esclusivo che ha caratterizzato la vita intrauterina.
Durante le poppate, infatti, il neonato ritrova lo spazio complice vissuto nel grembo e sperimenta di nuovo un’appagante fusionalità.
Anche quando la mamma non è la stessa che lo ha cullato nel ventre per nove mesi.
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Da allora i tempi sono molto cambiati e, oggi, il latte in polvere ha risolto i problemi delle persone che non possono allattare, ma a nessuno verrebbe in mente di incriminare le balie, accusandole di essere state contro natura, interessate, superficiali, calcolatrici, opportuniste, nemiche di se stesse, dei bambini e delle altre donne.
Eppure… la relazione che le balie instauravano con il figlio di un’altra madre era molto simile a quella che, ai nostri giorni, le mamme surrogate vivono col bimbo che portano in grembo al posto dei genitori incapaci di procreare.
Una relazione che per le balie, spesso, durava più di nove mesi e che creava un rapporto intimo e intenso con il neonato, senza per questo offendere la famiglia di appartenenza, ma anzi! Sostenendola e valorizzandola.
Oggi, purtroppo, abbiamo perso il valore della solidarietà e l’etica del guadagno ha sostituito la fratellanza.
Così, un gesto d’amore, in tutto simile a quello delle balie di un tempo, è interpretato come un commercio interessato e privo di generosità.
L’avidità, che caratterizza le scelte dell’economia, ha improntato uno stile di vita sempre più cinico e materialista, occultando il valore altruistico di una maternità senza possesso, dietro l’accusa di opportunismo, superficialità ed egoismo.
Nutrire nel ventre un cucciolo e regalargli la vita, è un atto d’amore indiscutibile.
Soprattutto quando chi lo compie non rivendica la proprietà del nuovo nato, ma permette al calore di una famiglia di dispiegarsi anche nell’amore per un bambino.
Le persone che scelgono di fare del proprio corpo un nido per un pulcino che, altrimenti, non potrebbe nascere, mettono a rischio la propria salute e la propria esistenza per regalare la vita a un altro essere e la gioia di un figlio a chi non può averlo spontaneamente.
Ci vuole molto coraggio, molta generosità e molto amore.
Ma, soprattutto, molta fiducia nella profondità della vita e nella scelta di venire al mondo.
Non ci sarebbero soldi sufficienti, altrimenti, per convincere una persona ad affrontare i rischi e i dolori che accompagnano la gravidanza e il parto.
La decisione di portare dentro di sé una nuova creatura per permetterle di sperimentare l’esistenza su questo nostro piano di realtà, è una scelta che mostra una grande fiducia nel valore della vita e che ci insegna a considerare i figli non come un possesso esclusivo o una proprietà dei genitori, ma come individui venuti a regalarci un’occasione per amare.
Le mamme surrogate sono donne capaci di onorare la vita e di donare anche ad altri genitori la gioia della maternità.
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