LA LUCERNA

Aveva solo quella figlia.

Ne ammirava i capelli color miele, gli occhi luminosi, le movenze leggere.

Si compiaceva in lei e temeva il momento in cui la figlia l’avrebbe lasciata, magari seguendo un amore.

Ma poi si placava: era ancora bambina e lei, la madre, si consolava a guardarla.

Sua figlia, l’unica gioia della propria vita.

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Vedova da tempo, la donna si guadagnava da vivere con l’arte del cucito e del ricamo.

Il lavoro non le mancava e manteneva se stessa e la figlia con sobrietà e decoro.

La bambina non aveva capricci: alle bambole preferiva un gatto nero, capitato da loro casualmente.

Giocava poi con gli insetti del suo giardino.

Loro si incantavano a guardarla, gentile, lieve e aggraziata com’era.

E si prestavano a servirla.

Lei li disponeva in file, li accostava per colori e, finito il gioco, li ringraziava.

Poi li lasciava andare.

A qualcuno, un grillo ad esempio o una cavalletta, arrivava anche a baciare il capo.

Il gatto assisteva placido, abituato da tempo a rispettare gli insetti, perché la bambina glielo aveva chiesto.

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Entra in casa, arriva un temporale”, gridò la madre.

Ma più rapido del suo timore, un rovescio d’acqua si abbatté sulla zona.

Il giardino ne fu sconvolto e la bambina fuggiva a ripararsi, quando un tuono terribile scosse l’aria, terrorizzando il villaggio e i suoi abitanti.

La madre, spaventata dal clamore e non vedendo la figlia rientrare, uscì sotto la pioggia battente.

Ma un urlo infantile la scosse: sollevò il capo e riuscì appena a vedere le vesti colorate della figlia avvolte dalle nuvole e portate verso il tumulto scuro del temporale.

Il gatto nero sbucò da un cespuglio e le si attaccò alle gambe, terrorizzato e fradicio.

La madre fissò il cielo, annichilita: la pioggia le sferzava il viso.

E lei, sconvolta, capì: le nuvole e il temporale le avevano rubato la figlia.

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La donna raccolse in una sacca quanto potesse servirle, chiuse la casa e, affranta, si mise in viaggio a cercare la figlia.

Il gatto nero seguiva i suoi passi.

C’era una vecchia, nel paese vicino, che dava buoni consigli in eventi disperati.

Quella era la prima tappa del loro viaggio.

Non sarà semplice” le disse la vecchia.

Le forze del cielo vorranno tenere tua figlia, bella come una fiamma. Ma tu cercala con speranza e coraggio. Ti do questa lucerna: bada di non farla spegnere. Illuminando i tuoi passi, ti guiderà”.

E, insieme, le diede un’ampolla con l’olio.

La madre guardò quel chiarore.

L’oscillare della fiammella aveva le stesse incertezze del suo cuore.

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Camminarono per città e paesi, scrutarono ansiosi il cielo stellato, fissarono lo sguardo tra le nuvole scure.

Chiedevano sempre di una bambina dai capelli color di miele.

Lo domandarono agli uomini, alle donne, agli animali, alle querce dei boschi che attraversavano.

E ai fiori, lungo i bordi della strada.

Nel camminare, la donna non schiacciava gli insetti, grata della gioia che altri di loro avevano dato alla figlia, nel giocare in giardino.

La madre proteggeva cauta la lucerna e custodiva l’ampolla con l’olio, che alimentava quella luce. Quando dormiva, era il gatto che vegliava: i suoi occhi verdi riflettevano lo sfavillare oscillante della fiamma.

Andarono molto lontano. Quando sentiva la speranza attenuarsi, la donna fissava la lucerna e quel chiarore vivace le scaldava il cuore.

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Passò del tempo e la loro ricerca si fece sempre più vana e affannosa.

Era giunto l’inverno e sembrava ormai difficile proseguire, ma talvolta ricevevano ospitalità in casolari, dove famiglie contadine li accoglievano e gli donavano l’olio per la lampada.

Quella notte, invece, nessuno si curò di loro.

La donna si accostò al muro di una casa, trovando un angolo riparato. I

l gatto, come sempre, sul suo grembo.

Lei sentì che le forze la abbandonavano e che il freddo cresceva.

Ma le sue mani tenevano stretta la lampada e quel calore le permise di addormentarsi.

Riuscì anche a sognare: le parve che tante formiche e cavallette e grilli giungessero presso di lei e le portassero, trascinandola a fatica, una chiave d’oro.

Una voce lontana le disse che quello era il dono degli insetti che sua figlia aveva amato e che lei, la madre, rispettava.

Era una chiave fatata: con essa avrebbe aperto i cancelli del cielo e liberato sua figlia, prigioniera delle nuvole e dei temporali.

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Si svegliò, scossa dal sogno, e vide accanto alla lampada una chiave, minuscola e tutta d’oro.

Si guardò intorno, stupita, la raccolse timidamente e si domandò cosa dovesse farne.

Non trovando risposta, guardò verso il cielo e chiese accorata che le venisse finalmente restituita la figlia.

Allora, davanti ai suoi occhi attoniti, le nuvole discesero piano e formarono un cancello, chiuso e possente.

Incerta, lei mise la chiave nella serratura e con qualche fatica riuscì ad aprire…

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Il cancello infine si spalancò e lei e il suo gatto, trepidanti, lo oltrepassarono.

Dentro, una visione terribile e bella: nuvole e arcobaleni, tuoni e bufere di vento, piogge battenti e uragani.

E in fondo, sua figlia.

Allora finalmente la bambina poté correrle incontro e la madre la strinse perdutamente.

Si guardarono incredule: e ridevano e piangevano insieme.

Allora sentirono la voce potente delle forze del cielo.

“Andate” dicevano “meritate la gioia. Volevamo tua figlia, bella come una fiamma, ma le formiche e le cavallette e i grilli hanno chiesto che ti venisse resa e ti hanno recato la chiave fatata. Tu donaci, però, la tua lucerna. Ci servirà a ricordare la bellezza della bambina”.

Senza esitare, la madre posò sulle nuvole dense la lampada accesa.

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Quelle si rallegrarono ad avere la lucerna, ne ampliarono la luce, ne allungarono la forma, le diedero una coda scintillante.

Ne fecero una stella cometa.

E la posero proprio in mezzo al cielo.

Brillò luminosa e splendente, come quella che sfolgorava nella magica notte di un inverno, ormai molto, molto lontano.

Gloria Lai

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