LA VIOLENZA SULLE DONNE, SUI BAMBINI, SUGLI OMOSESSUALI E SUGLI ANIMALI
La violenza nasce dalla pretesa di un’arbitraria superiorità e impone una gerarchia in cui chi detiene il potere lo gestisce a proprio vantaggio, a discapito di chi è ritenuto più debole.
La coercizione e la prevaricazione che caratterizzano la violenza sono l’antitesi della cooperazione, dell’empatia e della fratellanza.
Per questo, chi esercita la violenza è sempre vittima di una patologica incapacità a costruire relazioni basate sull’ascolto, sulla condivisione e sulla reciprocità.
Le persone violente, infatti, nascondono, anche a se stesse, la percezione della propria fragilità e il bisogno interiore di trovare sostegno e conferma negli altri, manifestando un’indifferenza che corrisponde al surgelamento della vita interiore.
Nel tentativo di evitare la dolorosa scoperta della propria debolezza e la complessità del mondo emotivo, queste persone bloccano la crescita psicologica nella fase dell’egocentrismo, inibendo in se stesse lo sviluppo dell’empatia e la possibilità di riconoscere il dolore.
Nel ventre della mamma il cucciolo sente di essere una totalità capace di auto sostentarsi, una monade in cui il sé e il mondo si compenetrano.
Dopo la nascita, i piccoli devono affrontare l’incapacità di badare a se stessi e imparare a gestire sia la dipendenza che l’autonomia.
Al loro sguardo inesperto la realtà appare incomprensibile e piena di pericoli e, per sentirsi al sicuro, cercano rifugio, protezione e aiuto tra le braccia dei genitori.
La violenza sui bambini mina la fiducia istintiva che i più piccini ripongono nella vita e crea i presupposti degli abusi e della prevaricazione.
Infatti, quando sono vittime di un’educazione basata sulla prepotenza e sull’aggressività, i bambini scoprono dolorosamente la propria fragilità e, nel tentativo disperato di sfuggire all’impotenza, identificano se stessi con l’aggressore, riproducendone dentro di sé la forza, e imitandone i comportamenti a mano a mano che diventano adulti.
Quest’assimilazione con chi detiene il potere, perpetua la violenza tramandandola da una generazione all’altra, e annienta nella psiche la dolcezza e la valorizzazione dell’innocenza.
In questo modo, la strada da percorrere per diventare grandi si trasforma in un tentativo strenuo di acquisire potere, per uscire dalla propria dolorosa condizione di debolezza.
E, una volta diventati adulti, porta a manifestare l’autorevolezza con la forza, ostentando il disprezzo per tutto ciò che è considerato fragile o diverso da sé.
Questo percorso patologico verso la conquista di un’arroganza, impropriamente identificata con la maturità, distrugge l’ascolto e la comprensione del mondo interiore.
L’emotività e la sensibilità diventano le stimmate di un’ingenuità vissuta come pericolosa, e perciò da evitare o da combattere.
L’annientamento del mondo interiore e dell’ascolto di sé affonda le sue radici nella demonizzazione della femminilità e nella cultura maschilista.
Nel maschilismo, infatti, la violenza si annida dietro la pretesa di un’indiscutibile superiorità degli uomini sulle donne, sancita in virtù di un principio divino e per questo incontestabile.
In questo modo, la gerarchia e l’oppressione s’intrecciano con la spiritualità, dando vita a una religione dogmatica e fondata sull’assolutismo di un Dio autoritario, discriminante e vendicativo.
Il maschilismo legittima ogni genere di abusi sulle donne, considerate esseri inferiori e portatrici di qualità perverse e peccaminose, e impone ai bambini e alle bambine di seguire tappe di crescita diverse.
Nel ventre materno e subito dopo la nascita, sia i maschietti che le femminucce vivono entrambi un’identificazione con la mamma e con il suo potere nutriente e amorevole ma, diventando grandi, la costruzione dell’identità sessuale imposta dalla cultura maschilista prosegue lungo binari differenti.
Infatti, mentre le bambine sviluppano la propria identità senza modificare l’identificazione materna, i maschi per sentirsi veri uomini devono negare l’identificazione con la madre e rinunciare per sempre alla propria componente femminile.
Lo strappo che questo comporta sulla psiche li costringe a disprezzare le donne, nel tentativo di prendere le distanze dalla femminilità, e costituisce la radice del machismo e della violenza.
Studi etologici e antropologici hanno dimostrato che culture diverse dalla nostra non cadono nelle trappole del maschilismo, ma integrano i valori del femminile nella personalità, senza abiurarli né demonizzarli.
Nel maschilismo tutto ciò che compete alla femminilità: la cura dei piccoli, la ricettività, l’empatia, la sensibilità, l’accoglienza… è scartato e deriso in nome della virilità, della forza e della ottusa prevaricazione di chi la possiede.
E questa è anche la ragione che spinge gli esseri umani a maltrattare gli animali.
Poiché gli animali nell’immaginario collettivo mantengono anche da adulti l’innocenza, la fragilità e la semplicità dei bambini, diventano le vittime designate di chi, per crescere, ha dovuto uccidere dentro di sé la stessa ingenuità e arrendevolezza.
Il maschilismo proclama un’arbitraria superiorità dell’uomo sulla donna e genera di conseguenza una cultura basata sul disprezzo per tutto ciò che è femminile, interiore, accogliente, ricettivo e creativo.
Il maschilismo è la radice di ogni prevaricazione e la sua diretta conseguenza: il sessismo, esprime la paura di entrare in contatto con i valori della femminilità e con il mondo interiore che la caratterizza.
Machismo, bullismo, nonnismo, sessismo, omofobia, pedofilia, specismo e pedagogia nera, sono tutte conseguenze del maschilismo e dell’affermazione di una superiorità che autorizza la prevaricazione su chi è ritenuto inferiore.
Il maschilismo è una grave patologia dell’eterosessualità, segnala l’uccisione della femminilità all’interno del sé e il bisogno di acquisire l’identità maschile nel disprezzo di tutto ciò che appartiene al mondo femminile, invece che nell’ascolto, nella comprensione e nella partecipazione emotiva.
In questo quadro, l’identificazione con la madre incarna lo spettro della debolezza, diventando un mostro da combattere e da uccidere, dapprima dentro di sé e poi nelle donne, nei bambini, negli omosessuali e negli animali.
Invece di essere la culla di un’identità che si sviluppa progressivamente attraversando la dolcezza interiore del femminile per arrivare alla determinazione e alla volontà del maschile, la prima identificazione con la figura materna diventa l’origine della fragilità e perciò l’antitesi della mascolinità, la debolezza da sottomettere per conquistare la virilità.
La mascolinità ottenuta in questo modo perde i connotati della spiritualità e dell’espressione interiore per trasformarsi nell’esaltazione di una forza brutale, priva d’immedesimazione e di tenerezza.
E chiunque si discosti da questo modello patologico e aggressivo è combattuto ed emarginato, non solo con la violenza ma anche con la derisione, l’umiliazione e l’esclusione.
La legge del padre diventa, così, una dittatura del più forte, il codice che autorizza la prostituzione e lo sfruttamento delle donne, dei bambini e degli animali, la causa dell’omofobia e la legittimazione delle persecuzioni agite contro chiunque si discosti dalla visione di una sessualità malata di dispotismo.
Forti della propria superiorità e legittimati nella violenza, gli uomini sono autorizzati ad appropriarsi del potere generativo delle donne, garantendosi una sorta d’immortalità con la certezza della propria progenie.
In questo modo esorcizzano il mistero femminile della nascita e della morte, evitando le dimensioni interiori della coscienza.
All’origine dei meccanismi patologici sottesi dal maschilismo, infatti, si nasconde la paura del potere procreativo, l’unico capace di generare la vita.
La violenza sulle donne, sui bambini, sugli omosessuali e sugli animali, fa parte di una perversione dell’eterosessualità e segnala una patologia gravissima chiamata, appunto, maschilismo.
Una patologia che impedisce la comprensione del mondo interiore e l’espressione dei valori della femminilità, negando l’accesso alla creatività e alla spiritualità.
Curare questa patologia è il compito che tutti, uomini e donne, devono assolvere per costruire un mondo privo di violenza e di abusi.
Accogliere il femminile dentro di sé, infatti, permette alla sensibilità di ritrovare il giusto riconoscimento nella psiche e porta al raggiungimento di una società libera da condizionamenti sessuali.
Una società la cui forza sia la capacità di amare e non di sopraffare, e dove la creatività sia l’unica arma in grado di vincere senza bisogno di competizioni e gerarchie.
Una società in cui il vantaggio di tutti sia il vantaggio di ognuno, perché il Tutto e il singolo sono sempre anche la stessa cosa.
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