DALLA TOTALITA’ ALL’IO: identità, autostima e pericoli della pedagogia nera

Durante la vita intrauterina i bambini sperimentano una profonda simbiosi, in cui la madre e il proprio sé sono vissuti come se fossero un’unica cosa.

Nei nove mesi della gravidanza, infatti, non si è ancora formata l’identità, necessaria a leggere gli eventi come qualcosa di diverso e separato.

Nella pancia della mamma esiste il Tutto.

E nel Tutto non ci sono individualità.

Solo diventando grandi possiamo riconoscere nel grembo di una donna incinta una nuova piccola esistenza, ma questa interpretazione è molto lontana dalla percezione del nascituro che, al contrario, sente di essere immerso in una Totalità che lo avvolge e che è contemporaneamente il mondo e lui stesso.

Per il bambino non ancora nato l’identità è imprendibile e la vita è qualcosa che lo accoglie, lo contiene, lo protegge e lo manifesta.

Con il parto, però, la completezza intrauterina va in pezzi.

La nascita distrugge l’unità originaria, disintegrando il mondo e l’identità che, fino a poco prima, avevano fatto sentire il bambino forte e al sicuro.

Separato per sempre dalla Totalità, il neonato si ritrova spaesato e solo, privo di quell’abbraccio caldo e avvolgente che era abituato ad avere intorno, e in cui si riconosceva.

Ma, proprio in virtù di quell’originaria competenza, ogni bambino, atterrando da questa parte dell’esistenza, ricompone istintivamente l’unità fra se stesso e le cose.

Forte dell’esperienza vissuta durante la gravidanza, il neonato è convinto di muoversi in una realtà fondamentalmente protettiva e buona, pronta ad accoglierlo e a sostenerlo, senza riserve.

Per lui ogni evento ruota intorno ai suoi bisogni, proprio come quando si trovava ancora immerso nel liquido amniotico.

Scoprire la propria individualità, è un percorso lungo, fatto di comprensioni e apprendimenti successivi.

Un percorso che smussa progressivamente l’egocentrismo, spontaneo e naturale nei piccoli, fino a creare empatia e reciprocità nelle relazioni.

Il rapporto con la mamma e con il papà è fondamentale per il raggiungimento di un’identità separata e per l’acquisizione di una sana autostima (indispensabile a esprimere i talenti personali).

I genitori, infatti, sostituiscono, nella comprensione del bambino, quella Totalità che precede la nascita, diventando il riferimento che consente all’IO di strutturare l’individualità e al TU di prendere forma nelle relazioni.

Inizialmente i piccoli sono convinti che esista un’appartenenza fra se stessi e gli altri, e confidano fiduciosi nell’assoluta bontà di chi si prende cura di loro.

La scoperta della dualità e della diversità fra il proprio sé e il resto del mondo, è un’acquisizione progressiva e, spesso, un trauma difficile da tollerare e da gestire.

E’ compito dei genitori condurre il bambino a distinguere se stesso dalla realtà circostante, fino a comprendere la poliedricità della vita.

Ogni neonato, scopre pian piano la distanza che lo separa dalle cose e dagli altri, imparando a colmarla grazie alla profondità del legame che lo unisce alla mamma e al papà.

In un primo momento i genitori sono per lui una sorta di Divinità Onnipotente, dispensatrice del bene o del male e in grado di gestire le sorti del mondo.

Il loro amore e il loro sostegno permettono il formarsi di una visione positiva di sé e della vita, mentre la loro indifferenza o, peggio, il loro disprezzo, portano il bimbo a sentirsi immeritevole e cattivo.

E’ in questo quadro che la pedagogia assume rilevanza ai fini del raggiungimento di un profondo senso di appartenenza alla vita e nella costruzione di un mondo a misura umana, cioè basato sull’accoglienza, sulla comprensione e sulla condivisione.

Uno stile educativo coercitivo, incapace di tenere conto del sistema emotivo infantile, genera danni irreversibili nella psiche e produce una società arrogante e violenta.

Educare deriva dal latino educare e significa letteralmente: far emergere ciò che sta dentro, cioè permettere alle capacità individuali di manifestarsi, a vantaggio di chi le possiede e della comunità.

Aiutare i bambini a esprimere le proprie risorse dovrebbe essere il compito principale dei genitori, e di tutti quelli che si occupano dell’infanzia.

Purtroppo, ancora oggi, viviamo immersi in una pedagogia basata prevalentemente sui divieti e sulla disciplina, e priva della necessaria attenzione per la delicata sensibilità infantile.

Certo, imparare a rispettare le regole è un’acquisizione della maturità.

Ma le regole devono essere condivise e accettate con senso critico e con responsabilità, non subite passivamente perché imposte da un potere assoluto e incontestabile.

L’educazione dovrebbe essere: partecipazione e ascolto del mondo emotivo.

Infatti, solo dalla comprensione delle emozioni può prendere forma una società che non discrimina, capace di accogliere e valorizzare le peculiarità di ciascuno.

Per fare questo è indispensabile che gli adulti per primi si mettano in gioco, abbandonando le pretese di superiorità e imparando a gestire la propria fragilità e vulnerabilità.

Quando i grandi possono costruire con i piccoli una relazione di reciprocità, il rispetto diventa una componente inscindibile delle relazioni, e la sua diretta conseguenza è la condivisione delle  responsabilità.

Di se stessi e del mondo in cui si vive.

I bambini imparano soprattutto dall’esempio di chi si occupa di loro.

Una pedagogia autoritaria e basata sulla pretesa che gli adulti abbiano sempre ragione, istiga alla prepotenza e al sopruso, e genera un mondo fondato sulla violenza.

Prendersi cura con pazienza e con dolcezza delle proprie parti infantili, aiuta i grandi a comprendere i piccoli, e permette di creare armonia e unità nella società.

E’ vero che il bisogno di ritrovare la Totalità perduta, spinge i bambini a identificare la divinità negli adulti che si prendono cura di loro, ma questo potere dovrebbe essere accolto solo provvisoriamente e restituito ai piccoli man mano che imparano a gestire le differenze fra se stessi e gli altri.

L’accoglienza di ogni diversità, dapprima in sé e poi nel mondo, è l’unico presupposto capace di fermare la violenza che affligge la nostra società, l’unico strumento in grado di permettere alla sensibilità e alla creatività di regalarci soluzioni nuove e migliori.

Per noi e per i nostri figli.

Carla Sale Musio

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