L’OFFERTA

Anche a volerla cercare, non c’era bellezza in lei: scuri gli occhi, ma poco profondi, chiara la pelle, ma senza turgore; in più, capelli biondastri con tocchi di rosso.

Era un essere singolare.

E poi un carattere ombroso, rari i sorrisi, scarse le risate.

In paese la credevano strana: finchè visse sua madre, la lasciarono in pace, ma dopo la morte della donna, affranta al pensiero della figlia, si fecero beffe di lei, del suo andare esitante, del suo aspetto diverso, del parlare impacciato; alcuni dicevano fosse malevola, per quel rosso nei capelli. Addirittura si scostavano al suo passare, temendo il contatto.

Il loro rifiuto la rese proprio come ritenevano fosse: silenziosa, aspra, solitaria.

Le uniche gioie di vita quelle vissute con la madre.

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Su quel villaggio gravava un terribile peso: ogni anno un orco, spaventoso a vedersi, esigeva un tributo di sangue.

Il dramma affondava nel tempo: tanti anni prima, il paese era stato fondato da genti straniere, a cui poco dopo un orribile orco rivelò che quei luoghi, stregati e di sua proprietà, obbligavano chi vi fosse arrivato, a starci per sempre.

Costretti a restare, gli infelici divenivano cibo per l’orco che nutrendosi di carne umana, manteneva eternità e vigore.

Le genti del paese fecero il possibile per impietosire il mostro: piansero, implorarono, offrirono ricchezze.

L’orco si divertì talmente a quella disperazione che li premiò: avrebbe divorato solo uno di loro, una volta all’anno.

Non fu una concessione da poco.

In più, distrattamente, rivelò che l’incantesimo poteva essere infranto, se qualcuno volontariamente si fosse offerto…

Ma non si curò delle sue incaute parole: conosceva bene gli umani, il loro attaccarsi alla vita, l’assenza di coraggio, il loro egoismo.

Per quanto lo riguardava, poi, avrebbe saziato la fame restante negli altri villaggi dei suoi estesi beni.

********

Ad ogni trascorrere d’anno il terreno tremava fin da lontano: allora gli animaletti sgusciavano nelle tane, gli uccelli si nascondevano tra i rami a difendere i piccoli, cavalli e mucche restavano nelle stalle.

In realtà non avevano nulla da temere, perché l’orco li disdegnava, ma il terrore degli uomini invadeva anche loro.

Il silenzio era assoluto: ed ecco l’orco profilarsi oltre i colli, più alto di quelle vette.

In pochi passi raggiungeva il villaggio e scrutava con attenzione: vi era sempre qualcuno che tardava a rientrare o che si nascondeva malamente.

E comunque anche le porte ben chiuse, all’occorrenza, venivano abbattute dal mostro.

Una zampata rapida, un masticare violento.

E tutto finiva in fretta.

Ormai gli abitanti del paese subivano ogni anno il compiersi del sacrificio, ma il pensiero di quella sorte non li rendeva migliori: chiusi nell’egoismo, nelle miserie quotidiane, nelle invidie, tiravano a campare, sperando di essere risparmiati.

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Lei era sempre più sola: il destino che incombeva su tutti non li spingeva ad amarla ma, contenti nel saperla più infelice di loro, aumentavano l’astio e il rifiuto.

Lei continuava a soffrirne, ma dopo lungo pensare, seppe il da farsi: offrirsi in pasto, spezzare l’incantesimo e, insieme, la vita dell’orco e la propria, tanto inutile e vuota.

L’avrebbero così ricordata e, forse, rimpianta.

Alla scadenza successiva, la solita angoscia, il guardarsi sottecchi, il chiedersi a chi sarebbe toccato.

Lei invece era calma: ormai aveva deciso.

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L’ombra dell’orco si profilò sulla via principale: nessuno in giro.

Lui si apprestava alla solita svelta ricerca, quando avvertì qualcosa di caldo.

Aguzzò lo sguardo: un forma femminea in mezzo alla piazza.

L’orco pensava che la donna sarebbe fuggita: lei invece si costrinse a restare.

Ricordi veloci le passavano in mente: le carezze materne, l’odore del latte al mattino, l’andare flessuoso di un gatto, il mistero del cielo, il frusciare del vento….

E in cuore le nacque una voglia struggente di vita.

Ma aveva deciso: avanzò con coraggio, si offerse.

Lui agì rapido, senza pensare: l’urto fu tanto violento che lei non soffrì nel morire.

Per l’orco non vi fu altro tempo: immediato, il suo grido si alzò verso il cielo e il suo corpo massiccio scivolò al suolo.

Giacquero un poco vicini, poi lui piano piano prese a svanire.

Gli abitanti uscirono incerti dalle case sbarrate: capirono tutto, non appena videro.

Allora furono i vecchi per primi, piegati dagli anni e i rimorsi, a raggiungerla, a carezzarla, a baciarla:

“Perdonaci per non averti capita”, chiesero in lacrime.

“Perdonaci per non averti amata”, dissero tutti gli altri, oppressi da vergogna e stupore.

Giungevano lenti, recavano fiori.

Il corpo di lei lo portarono a braccia: vicino alla tomba piantarono rose selvatiche e more.

Poi, via dal paese: oppressi da colpe e  ricordi riunirono gli animali, raccolsero i beni e cercarono altri luoghi, molto lontani da quello.

Quando giunsero altrove e fondarono un nuovo villaggio, guardandosi in viso, scoprirono sguardi diversi, più mesti, più dolci di prima.

L’offerta di quel sacrificio li aveva cambiati.

Stretto ad ognuno dei cuori, il ricordo di lei cresceva ogni giorno, come rose selvatiche in boccio.

Gloria Lai

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