LA TENEREZZA

Era un sovrano inflessibile, quasi crudele.

Dominava il suo popolo con durezza: anche i cortigiani lo temevano, timorosi di un suo sguardo altero, di un levare di ciglia.

A cavallo attraversava le sue terre e le schiene dei sudditi si piegavano ad omaggiarlo: quando passava nei villaggi e tra i campi, tutti abbandonavano le loro attività e si prostravano, incapaci di sollevare lo sguardo.

Nessuno ricordava di lui un sorriso, ancor meno una tenerezza.

Gli anni passavano, il tempo incalzava. L’incedere del sovrano, sempre regale, si era fatto appena più esitante, ma pochi lo avevano notato.

Una sera d’inverno, il sovrano e i suoi dignitari furono sorpresi da una violenta tempesta di neve: il palazzo non era lontano, ma l’infuriare del vento costringeva uomini e cavalli a procedere lentamente.

Gli occhi del re, socchiusi per il gelo e la neve, ispezionavano il cammino…

All’improvviso, qualcosa sul margine della via colpì la sua attenzione: guidò il cavallo verso quello che sembrava uno straccio, scuro sul biancore.

Guardò meglio: era solo un gatto, immobile e quasi coperto dalla neve.

Il re non seppe per quale motivo agì come fece: scese da cavallo, raccolse l’animale che respirava debolmente e se lo caricò in sella.

Si stupirono i dignitari, ma nessuno di essi osò intervenire.

Il calore vigoroso del cavallo e il contatto con il corpo del re agirono come un balsamo sulle membra intirizzite dell’animale, che dopo un poco aprì gli occhi e li rivolse al volto severo del sovrano.

E lui, il re, guardando il verde di quegli occhi felini, pieni di gratitudine, capì all’improvviso cosa fosse la tenerezza e si stupì di aver sprecato tanto tempo senza conoscerla.

Ma fu solo un attimo: si vergognò di quella debolezza e rasentando una casupola di contadini, affidò loro il gatto e proseguì per la sua strada, con l’alterigia di sempre. 

Anche per quel sovrano superbo giunse il momento estremo: nonostante il suo coraggio, il re sentì un fremito al cuore e un gelo terribile nelle membra all’approssimarsi della fine.

Disteso nel suo letto regale, il re vide profilarsi sulla soglia una figura evanescente, che reggeva tra le mani una minuscola e preziosa bilancia d’oro.

L’essere prodigioso si avvicinò lentamente al sovrano e cominciò a parlargli.

Gli ricordò le prepotenze da lui commesse in tanti anni di vita, le violenze, le durezze, le preghiere non ascoltate, le carezze disdegnate, gli affetti disprezzati, le debolezze derise…

Il re sentiva crescere un affanno che non conosceva: capì di trovarsi davanti al giudizio supremo.

Percepì tutto il peso della sua vita, ma nessuno gli aveva insegnato a pentirsi.

Ad ogni racconto delle sue durezze uno dei piatti della bilancia, come gravato da un carico, scendeva sempre più pesantemente verso il suolo.

L’altro, invece, restava miseramente in alto: il destino del re sembrava compiuto…

Ma ecco lentamente entrare nella stanza un gatto: i suoi occhi verdi sfavillavano.

Con cautela si accostò al letto del sovrano, avvicinò il muso all’essere evanescente e sussurrò qualcosa: un racconto che narrava di una tempesta di neve, di un gatto solitario e morente, di due braccia forti e orgogliose…

Fu così che, davanti al sovrano esausto, si manifestò ancora un prodigio: al termine del racconto, i due piatti della bilancia aurea lentamente raggiunsero la stessa altezza, in perfetto equilibrio.

Allora il sovrano morente sentì svanire ogni timore: avvolse nell’ultimo sguardo lo scintillio di quegli occhi felini e chiuse dolcemente i suoi, affidandosi sereno al sonno eterno.

Gloria Lai

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