Recentemente ho pubblicato un post (da quando ho smesso di mangiare la carne…) in cui ho condiviso le ripercussioni che la scelta di non mangiare più carne ha avuto sulla mia vita.
Questo post ha ricevuto moltissimi consensi ma è anche diventato il bersaglio di forti critiche.
Sono stata accusata d’intolleranza nel definire ingiusta la morte di tante creature innocenti al solo scopo di soddisfare il piacere degli esseri umani.
E sono volati i commenti con considerazioni inneggianti all’uccisione e alla tortura.
I contenuti offensivi e razzisti non saranno pubblicati ma riporto qui un passaggio esemplificativo:
“Per me siete voi vegani o vegetariani a eleggervi razza giusta e superiore, non rispettando minimamente le opinioni di chi mangia carne. Vi credete migliori, ma sbagliate di grosso. Io non ti/vi critico per la vostra scelta e vi rispetto. Rispettate dunque la scelta di chi mangia carne.Smettiamola con questi discorsi assurdi, assurdi veramente! Al limite del ridicolo. Datevi tutti una regolata con le cazzate perché qui si sta esagerando.”
Molte persone cercano la polemica e lo scontro perché sentono intimamente l’importanza della scelta vegana e tentano in questo modo di combattere il richiamo della propria anima.
Spesso l’aggressione nasconde un desiderio sentito interiormente come impossibile e perciò proiettato e combattuto all’esterno.
A tutti quelli che ritengono irrispettosa la mia decisione di non uccidere per vivere rispondo che non è possibile “tollerare” la violenza.
La violenza è una patologia e pertanto non può essere “rispettata”, deve essere compresa e curata.
M
MA CHE COS’E’ LA VIOLENZA?
M
Con il termine violenza s’intende comunemente un’azione, fisica o psichica, compiuta senza tenere conto della vita, della dignità, dei sentimenti e del dolore di chi la subisce.
La violenza perciò è sempre un atto privo di empatia e di sensibilità.
Chi la agisce sperimenta una distanza emotiva tra il proprio sé e quello della vittima.
Questa distanza impedisce l’identificazione e la percezione dei vissuti dell’altro ed è la conseguenza di un meccanismo di difesa chiamato: surgelamento emotivo.
Il surgelamento emotivo serve a proteggere l’io dal dolore e fa si che il supplizio delle vittime sia ignoto alla coscienza dell’aguzzino, permettendogli di attuare qualunque sopruso senza provare colpa o sofferenza.
La pedofilia, il bullismo, il nonnismo, i maltrattamenti sessuali, l’omofobia, il femminicidio… sono tutte forme di violenza che segnalano una mancanza d’identificazione e un disturbo dell’affettività e della capacità di fare relazione.
Chi agisce con violenza non può essere “tollerato”, va compreso e aiutato a liberarsi dalla anestesia emotiva che imprigiona la sua sensibilità dentro a una corazza di durezza.
Per fare questo è necessario creare le condizioni in cui sia possibile sviluppare l’empatia e l’intelligenza emotiva e intervenire per impedire i comportamenti brutali, evitando alle vittime inutili sofferenze e impedendo a chi è portatore di una patologia di indurirsi ulteriormente.
In questo nostro mondo gravemente malato di crudeltà il surgelamento emotivo è un morbo diffuso e caratterizza gli atteggiamenti di uomini e donne che, ignari delle proprie difficoltà psicologiche, agiscono in modi aggressivi e prevaricatori convinti di essere nel giusto e di condurre una vita adeguata.
Queste persone vanno aiutate a uscire dall’indifferenza che ottunde la loro intelligenza emotiva, facendo in modo che non commettano altri crimini e sviluppino una maggiore sensibilità.
Chi è dotato di empatia e comprensione emotiva non può sottrarsi al dovere di intervenire nel riconoscimento della dignità e dei diritti, uguali e inalienabili, di tutti gli esseri viventi.
Rispettare la scelta di abusare sessualmente i bambini, rispettare la scelta di seviziare chi è più debole, rispettare la scelta di umiliare chi è più giovane e inesperto, rispettare la scelta di maltrattare i gay, rispettare la scelta di picchiare le donne… significa ignorare la sofferenza e non vedere la patologia di chi compie gesti di quel tipo.
Il rispetto è qualcosa di diverso dalla tolleranza.
Accondiscendere alla crudeltà non aiuta la vittima e aggrava la patologia del carnefice.
Il rispetto si manifesta nell’individuazione della sofferenza inconscia che affligge chi agisce un comportamento crudele, e si palesa nella cura e nel tentativo di portare alla coscienza le motivazioni interiori che sostengono e reiterano gli atteggiamenti di chiusura.
“Rispettare” la scelta di chi mangia la carne di qualcuno significa chiudere gli occhi davanti all’atrocità di una cultura intrisa di violenza e sottovalutarne la gravità e la patologia.
Chi ha aperto il proprio cuore e la propria vita alla comprensione della sofferenza delle altre specie viventi non può più mostrarsi indifferente davanti all’abominio insito nel cibarsi della morte di tanti esseri innocenti.
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