PANDEMIA E RESTRIZIONI: morire… per paura di morire!
La strategia della tensione è una strategia politica utilizzata in Italia negli anni Settanta e basata su una serie preordinata di atti terroristici volti a diffondere nella popolazione vissuti di terrore talmente grandi da giustificare nuove scelte di stampo autoritario.
Dagli anni Settanta la strategia della tensione sì è evoluta, il terrorismo degli attentati e delle bombe è diventato obsoleto e al suo posto sono arrivati i virus.
Oggi, per destabilizzare la popolazione si adopera la malattia strumentalizzando la paura della morte.
Negli anni Duemila:
La polizia non insegue più i criminali ma perseguita chi vuole gestire la propria salute in autonomia.
La politica non riguarda più la gestione della cosa pubblica ma le norme a tutela della sanità.
La dittatura non si occupa più delle modalità governative ma dell’imposizione dei trattamenti sanitari.
I dissidenti non sono più estremisti della destra o della sinistra ma chiunque voglia scegliere come vivere e come morire.
In questo quadro:
Ammalarsi è severamente vietato.
Gli ospedali sono le nuove carceri.
Gli arresti domiciliari si chiamano quarantena e vengono imposti in seguito alla presenza dei virus nell’organismo o alla frequentazione con chi ne è portatore. A prescindere dall’evidenza dei sintomi e dallo stato di malattia.
Chiunque sia cagionevole di salute rischia la deportazione in ospedale, dove sarà tenuto in isolamento, privato del conforto delle persone care e dei contatti con il resto del mondo.
Ognuno di noi è diventato un potenziale untore.
Il rischio di contagio è l’orrore che innesca la paura di morire (da soli, senza l’affetto degli amici e dei parenti) reclusi in ospedali dove il personale (bardato come se dovesse disinnescare una bomba) a malapena mostra gli occhi e (quando va bene) si trattiene il tempo strettamente necessario alla somministrazione delle cure.
La strategia della tensione si è perfezionata e usa i media per bombardare il nostro cervello con notizie allarmanti, diffondendo ogni giorno un bollettino medico fatto di numeri sempre in aumento (a prescindere da qualsiasi soluzione adottata per diminuire i contagi e senza mai specificare in quale modo si costruiscano le statistiche).
In questo scenario drammatico tante persone buone, accondiscendenti e sensibili vivono nel terrore di incontrare la morte ad ogni passo.
E per sfuggire l’angoscia sono disposte a rinunciare anche ai principi base della salute fisica e mentale.
Non ci sono più festività trascorse insieme, riunioni con gli amici, viaggi, palestre, teatro, cultura, attività sportive, scuola, giochi…
Tutto ciò che alimenta il benessere e la partecipazione affettiva è stato vietato o sostituito dallo schermo di un computer.
Lo spazio virtuale (un tempo demonizzato con l’accusa di provocare un pericoloso distacco dalla realtà) è diventato la via maestra alla socializzazione.
Certo, la condivisione virtuale annulla le distanze permettendoci di comunicare con chiunque senza bisogno di attraversare fisicamente il pianeta.
Ma non potrà MAI sostituire lo scambio affettivo tra le persone: quella relazione fatta di sguardi e gestualità capace di attivare i neuroni a specchio quando ci si trova fisicamente insieme.
Per sfuggire la paura di una morte dolorosa e in solitudine, molti scelgono di seguire pedissequamente norme in contrasto con i principi della costituzione, giustificando la violazione dei diritti umani in nome di una temporaneità reiterata ormai da oltre un anno.
E in tanti sono stati costretti a chiudere le proprie attività perdendo così la possibilità di sostenersi autonomamente.
Il numero dei suicidi cresce a dismisura, l’alcolismo si diffonde a macchia d’olio e la depressione prende piede, mentre siamo occupati a sfuggire il mostro di una malattia gonfiata ad arte per spingerci verso una gestione politica sempre più rigida e volta al profitto dei pochi che gestiscono il mondo.
Morire per non morire è il paradosso dei tempi.
Chiudersi in casa, fissare per ore lo schermo della televisione, mangiare per colmare il vuoto affettivo e trasformare il mondo virtuale nell’unica realtà possibile, è diventato uno stile di vita sano e auspicabile, nonostante l’allarme lanciato da psicologi, medici e avvocati, volto a segnalare i pericoli e l’incostituzionalità di queste scelte.
La paura di morire… spinge a morire.
Di solitudine, di dolore, di angoscia, d’inedia o di obesità.
In questo scenario drammatico fermarsi e riflettere sulla morte è indispensabile, doveroso e necessario.
Perché la morte non si può evitare, appartiene inscindibilmente alla vita.
E combattere per conquistare l’immortalità alimenta la pazzia nella psiche.
La salute prende forma innanzitutto nella coscienza di ciascuno.
E si dispiega in risposta alle domande:
Perché si vive? Perché si muore?
Dal significato profondo che sapremo attribuire a un’esistenza fatta inscindibilmente di vita e di morte potrà prendere forma un mondo libero dalla paura.
Un mondo forte della certezza che la vita si estende dalla nascita alla morte… fino a comprenderne il valore.
Quel significato profondo che permette di essere grati all’esperienza, qualunque essa sia, e sta alla base della salute mentale.
One thought on “PANDEMIA E RESTRIZIONI: morire… per paura di morire!”
Belli i suoi scritti e coraggiosi, una cosa che non mi è mai mancata è l’onesta e la sincerità. Ma per chi come questo isolamento l’ha vissuto fin dalla sua adolescenza negli anni in cui tutto ricordano con gioia, tutto ciò si chiama Manna. Grazie Dio non quello di Abramo ovviamente per portarmi un pò di sollievo.
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Belli i suoi scritti e coraggiosi, una cosa che non mi è mai mancata è l’onesta e la sincerità. Ma per chi come questo isolamento l’ha vissuto fin dalla sua adolescenza negli anni in cui tutto ricordano con gioia, tutto ciò si chiama Manna. Grazie Dio non quello di Abramo ovviamente per portarmi un pò di sollievo.