Questo articolo tratta delle tematiche che possono creare frustrazione e rabbia, per la natura dell’argomento. Nell’approcciarvi alla lettura vi prego di tener conto esclusivamente dell’orientamento psicologico e scientifico, abbandonando la vana tentazione di farne una questione politica. Nessuna autorità dello Stato viene messa in discussione, se non le metodologie nella gestione dei mezzi di informazione. Che, come segnalato dai più recenti protocolli di ricerca scientifica sul campo (uno fra tanti: https://comunicatopsi.org), durante la pandemia, sono state fonti di traumi e stress per la maggior parte dell’intera popolazione mondiale.
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Vengono definiti con disprezzo covidioti quegli uomini e quelle donne che credono ciecamente al telegiornale e alla versione della pandemia proposta dai media di regime.
Personalmente non condivido questo termine, che trovo sprezzante e offensivo, e credo che la definizione giusta sia: spaventati o addormentati (contrapposto a risvegliati che invece indica quanti coltivano uno spirito critico nei confronti delle fonti ufficiali di informazione.)
Nel corso di questo scritto, quindi, userò le parole: spaventati o addormentati in sostituzione di covidioti.
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Gli addormentati sono persone buone, sensibili, umili e pronte a sacrificarsi per vivere in pace.
Sono i bambini che ubbidiscono ai genitori anche quando questi ultimi li maltrattano.
Quelli che credono alla benevolenza dei grandi pur provando dolore, vergogna, angoscia o paura a causa loro.
Sono i tanti che non hanno sacrificato la propria innocenza sull’altare della verità e conservano vivo nel cuore il ricordo di una Totalità Infinita da cui (forse) tutti proveniamo.
(Nella dimensione psichica che precede la nascita non esiste una separazione tra l’io e il tu ma tutto esiste contemporaneamente, senza spazio, tempo o identità.)
Gli spaventati hanno imparato nell’infanzia a credere che gli adulti abbiano sempre ragione e agiscano mossi da un’intenzione protettiva, anche quando le loro azioni sono incomprensibili, dolorose o crudeli.
Ai loro occhi innocenti, infatti, la sofferenza, la vergogna, l’angoscia e la paura appaiono un prezzo necessario per crescere e acquisire, un giorno, quella stessa supremazia.
Per gli addormentati la fiducia nell’autorità procede di pari passo con il bisogno di protezione.
E allevia la sensazione di inadeguatezza che accompagna l’inesperienza e la consapevolezza della propria fragilità.
Nel corso delle relazioni familiari, gli spaventati hanno imparato presto che contestare gli adulti mette in pericolo la vita stessa.
I grandi, infatti, sono forti fisicamente e determinati a raggiungere i propri fini educativi, con le buone o con le cattive.
Fino al punto di uccidere chi non si sottomette di buon grado alle loro regole.
Nei primi anni di vita gli spaventati si sono trovati davanti a un paradosso educativo che recita più o meno così:
“Ciò che faccio è per il tuo bene. Anche ucciderti, se necessario.”
E, non avendo le risorse per evitarlo, contestarlo o risolverlo, hanno dovuto accettarlo.
Acriticamente.
Questa fiducia dogmatica (e perciò indiscutibile) appartiene ad uno stile di pensiero tipico della fanciullezza e si imprime nella psiche quando il cervello non ha ancora formato appieno la memoria, riflettendosi inconsapevolmente nelle successive scelte di vita.
Per questo motivo è difficile ricordare le circostanze in cui si è formata e, di conseguenza, riconoscerla e cambiarla.
La paura della morte, che deriva dal paradosso educativo, è il nemico più grande degli spaventati, il mostro da combattere con tutte le forze.
E, pur di sfuggire a quell’angoscia antica, sono disposti ad accettare qualsiasi imposizione provenga da un’autorità riconosciuta come più forte.
Ogni autorità, infatti, incarna le sembianze di quella genitorialità onnipotente vissuta nell’infanzia, ciecamente benevola e pronta ad uccidere i figli quando non si comportano bene.
Nei vissuti infantili inconsci, questa visione del potere trasforma la morte in una punizione giusta, scatenando le peggiori paure e di conseguenza promuovendo le peggiori azioni.
(In questo modo, infatti, si perde di vista il valore naturale e trasformativo del fine vita e il suo significato di passaggio verso ulteriori dimensioni della coscienza.)
Combattere i fratelli, tradire gli amici, compiere gesti di cui non ci si domanda il senso, agire rituali scaramantici e obbedire ciecamente ai dettami del più forte… sono tutti modi per evadere le paure infantili attivate dalla paura di morire.
E pur di sfuggire alla paura gli addormentati sono pronti anche… a morire.
In loro il paradosso educativo:
“Per il tuo bene posso anche ucciderti.”
Si trasforma in un altro paradosso, altrettanto pericoloso e terribile:
“Per non morire, sono pronto a morire.”
Paradosso che sostiene l’atteggiamento acritico verso l’autorità costituita.
Vedere i limiti e le incongruenze di chi detiene il potere, infatti, significherebbe rinunciare all’innocenza e alla fiducia in una Totalità onnipotente e divina (incarnata prima dai genitori e in seguito dallo Stato, dal datore di lavoro, dal superiore in grado, dalla religione, eccetera) per rassegnarsi ai limiti di questa nostra realtà duale, complicata e spesso incongruente.
È vero che da quella rassegnazione prende forma la ricerca della propria verità, ma per gli spaventati accollarsi la responsabilità della propria vita mettendo in discussione le parole dei grandi genera angosce assai peggiori della morte stessa.
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Come comportarsi, quindi, quando ci si trova davanti a un individuo spaventato e pronto a tutto pur di non contestare la legge, anche davanti a scelte ingiuste e drammatiche?
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La prima cosa da fare è rendersi conto che si tratta di una creatura in difficoltà, vittima di una percezione influenzata dalla visione infantile dell’autorità.
Alla luce di questa valutazione diventa possibile costruire una comunicazione rispettosa delle paure che inconsciamente ne muovono le scelte.
Naturalmente non si potrà sostenere una argomentazione critica nei confronti del potere costituito, perché proprio la critica è stata compromessa.
(E questo per chi è risvegliato è sicuramente lo scoglio più difficile da superare.)
Tuttavia, solo dalla comprensione delle difficoltà psicologiche di chi abbiamo davanti può nascere una forma di interazione costruttiva (anche se limitata), altrimenti impossibile.
La seconda cosa da fare, quando ci si trova davanti a uno spaventato, è cercare di abbassare il livello di angoscia e di stress scatenato dalle informazioni terroristiche diffuse dai media di regime.
In ultimo, ma non meno importante, occorre tenere conto della loro pericolosità ed evitare lo scontro mantenendo alta la guardia, perché le persone in preda al panico possono diventare estremamente aggressive e imprevedibili.
L’unica soluzione definitiva e auspicabile rimane quella dell’aiuto psicologico volto a risolvere i traumi infantili.
Tuttavia per arrivarci è necessario svolgere prima un lavoro di ascolto che ne conquisti la fiducia, non sempre realizzabile quando il bombardamento mediatico imperversa.
Credo che in passato l’uso di misure educative autoritarie e coercitive abbia determinato l’attuale situazione di paura collettiva e lo sviluppo di una grande massa di spaventati.
E sono convinta che l’unica vera rivoluzione sia una progressiva desensibilizzazione dei vissuti traumatici infantili e una nuova visione della morte, non più punitiva e persecutoria ma naturale e inevitabile, in quanto parte della vita stessa.
Solo quando la morte sarà accolta nel suo significato trasformativo e multidimensionale, diventerà possibile aprirsi alla molteplicità della coscienza e comprendere come l’esistenza sia l’espressione di una profonda esperienza interiore.
Un’esperienza in cui non ci sono più buoni e cattivi, spaventati e risvegliati, ma un’unica umanità fatta di tante persone diverse, libere dal dominio di qualsiasi autorità che non sia quella della propria coscienza.
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