Improvvisamente ci si è ritrovati a vivere ventiquattro ore su ventiquattro confinati nel proprio appartamento, senza altri contatti umani che quelli con i conviventi (persone o animali).
La socializzazione virtuale, fino a poco tempo prima demonizzata e tacciata di patologia (narcisistica ed evitante) è diventata l’unica forma di relazione permessa.
Le passeggiate, lo sport, la vita all’aria aperta e il rapporto con la natura sono stati proibiti.
Gli abbracci, i baci, le carezze e qualunque altro tipo di avvicinamento fisico (compreso quello medico) sono diventate pericolose fonti di contagio, potenziali portatori di una morte terribile.
Le uscite (permesse soltanto per comprovate esigenze di sopravvivenza e rigorosamente muniti di autocertificazione) si sono trasformate in esperienze ansiogene, spesso male interpretate dalle forze dell’ordine e punite con multe salatissime.
La perdita del lavoro, della privacy e della libertà individuale, ha assunto la forma di misura salvavita, auspicata e necessaria per il benessere della collettività.
La solitudine, l’isolamento e la mancanza di contatti umani sono assurte a misure di protezione e responsabilità sociale.
La depressione, definita dal DSM-5 una malattia grave e perciò da guarire, ha preso le sembianze della cura e dell’impegno etico nei confronti degli altri.
In seguito a tutto questo, attualmente tante persone mostrano i segni di un disturbo depressivo insidioso e terribile.
Ma, quando è imposta dalla legge, la depressione diventa inguaribile.
E come psicoterapeuta sento l’esigenza di fare una riflessione.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha valutato la depressione come una delle malattie più invalidanti al mondo e con un costo sociale elevatissimo.
Il disturbo depressivo, definito anche depressione maggiore, depressione endogena o depressione unipolare, è stato inserito nel 1980 all’interno del Manuale Statistico E Diagnostico dei Disturbi Mentali che oggi è alla sua quinta edizione (DSM-5).
Si tratta di un disturbo dell’umore caratterizzata da profonda tristezza, calo della spinta vitale, perdita di interesse verso le attività quotidiane, pensieri negativi e pessimistici.
Questa patologia coinvolge la sfera affettiva e cognitiva e i suoi aspetti tipici sono:
lo scoraggiamento,
la perdita di interesse verso le normali abitudini di vita,
l’ansia,
la disperazione per se stessi e per il futuro,
la sensazione di vuoto interiore,
la sfiducia e le aspettative negative nei confronti degli altri.
Secondo quanto scritto nel DSM-5: la riduzione delle attività quotidiane, la perdita di piacere nel fare qualsiasi cosa (anedonia), la perdita di interesse (apatia) e la sensazione di stanchezza cronica portano il soggetto a ridurre gradualmente tutte le occupazioni e i contatti sociali, determinando una chiusura al mondo e alla vita.
E proprio questa perdita progressiva e costante del piacere di vivere generà la disabilità, percepita (“non sono più in grado di fare le mie cose”) e reale.
A livello somatico sono presenti:
stanchezza cronica,
dolori diffusi,
problemi gastro-intestinali,
alterazione del ritmo sonno-veglia,
aumento o diminuzione del sonno notturno,
variazioni nelle abitudini alimentari (con aumento o diminuzione dell’appetito),
riduzione del desiderio sessuale o altre problematiche relative alla sfera sessuale.
Come spiega il DSM-5: il progressivo e graduale abbandono di tutti i contatti sociali ha per risultato un ulteriore peggioramento della depressione.
Leggendo il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali salta agli occhi che le misure restrittive imposte per fronteggiare l’emergenza sanitaria hanno prescritto a tutti la sintomatologia della depressione:
nessun contatto sociale,
nessuno scambio affettivo e fisico,
nessuna attività al di fuori delle mura domestiche,
nessuna possibilità di muoversi all’aria aperta e di fare esercizio fisico,
nessuno stimolo nuovo,
nessuna possibilità di reagire all’apatia.
Basterebbero queste considerazioni per comprendere come mai nel giro di qualche mese la popolazione abbia presentato i sintomi della depressione e quanto sia diventato necessario intervenire al più presto per evitarne le conseguenze sulla salute.
L’abbassamento delle difese immunitarie, infatti, è un corollario inevitabile della sofferenza psichica.
Ma a questo quadro, già abbastanza sconfortante, occorre aggiungere la grave perdita dei legami affettivi in cui sono incorsi tutti quelli che, per una ragione o per l’altra, non convivevano al momento del lockdown.
Mi riferisco alla maggior parte delle relazioni amicali tra persone non consanguinee o che, avendo raggiunto l’età della autonomia, avevano potuto permettersi di vivere in una casa propria nonostante la consanguineità.
Le teorie sull’attaccamento dimostrano che la sopravvivenza e la salute (fisica e psichica) dipendono dalla possibilità di vivere un rapporto continuativo, profondo e gratificante.
L’etologia ci spiega che l’essere umano è un animale da branco e, se privato dei rapporti con i suoi simili, deperisce rapidamente e muore.
Gli studi dello psicoanalista austriaco Renè Spitz sui bambini ospedalizzati hanno evidenziato quanto lo scambio affettivo sia il fondamento della vitalità e della sopravvivenza.
I bimbi orfani da lui studiati, nonostante le cure mediche e le condizioni igieniche e sanitarie ottimali, deperivano e morivano in mancanza di un caregiver amorevole e stabile.
Un ambiente sterile ma privo di contatti umani, infatti, non basta a garantire la vita e la salute.
Le ricerche dello psicologo statunitense Harry Harlow comprovano che vivere una relazione appagante, rassicurante e protettiva rappresenta un bisogno talmente vitale da essere anche più importante del nutrimento fisico.
A fronte di queste ricerche non si possono sottovalutare le conseguenze psichiche e fisiche del lockdown.
Le misure restrittive a tutela della salute hanno imposto la sospensione dei contatti umani per un tempo sufficientemente lungo da indebolire il sistema immunitario e rafforzare i vissuti depressivi.
Occorrono ventuno giorni per cambiare un’abitudine e circa due mesi perché un nuovo atteggiamento prenda piede nella psiche.
Il medico americano Maxwell Maltz, lavorando con la chirurgia plastica e con l’immagine dell’io, ha messo in evidenza che sono necessarie almeno due settimane per trasformare la percezione di sé e adattarsi a una situazione diversa.
La dottoressa Phillippa Lally, ricercatrice di psicologia della salute presso l’University College di Londra, ha dimostrato come in due mesi una nuova condotta possa trasformarsi in abitudine.
La ripetizione costante dei comportamenti, infatti, genera nel tempo un’associazione mentale tra gli stati d’animo e le situazioni vissute stabilendo collegamenti inamovibili nella memoria, tanto che i cambiamenti assumono la caratteristica dell’automaticità.
Come ha spiegato la Lally, reiterare gli atteggiamenti fa sì che le azioni alternative diventino sempre meno accessibili e apre la strada a una trasformazione duratura.
Questi studi evidenziano che ripetere un comportamento per un periodo sufficientemente lungo genera un apprendimento automatico.
E una volta che l’abitudine prende piede nella psiche cambiarla non è un compito facile.
Alla luce di tutte queste ricerche si comprende quanto la depressione, ordinata e reiterata nel lockdown, abbia avuto ripercussioni gravi e non facilmente modificabili sull’equilibrio (psicologico e fisico) determinando un’impossibilità di difesa proprio perché la percezione della realtà e la sensazione di efficacia personale ne risultano compromesse.
Diventa quindi necessario e urgente prendere delle misure a tutela della salute e volte a risolvere le problematiche depressive indotte dalla legge, ripristinando al più presto le condizioni di vita indispensabili a un sano funzionamento della psiche e del corpo.
Per riconquistare il benessere è indispensabile trascorrere del tempo con le persone a cui siamo legati, sentirsi parte della natura, fare esercizio fisico e scambiare l’un l’altro le emozioni condividendo insieme i frutti del nostro essere al mondo: l’amore, la creatività, la sensibilità, e il rispetto per la vita.
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