Osservando la mole di ricerche sulla genitorialità potremmo ragionevolmente pensare che il cucciolo dell’uomo sia la creatura più felice e realizzata della terra.
Abbiamo tanti libri che spiegano quale sia modo giusto di aiutare i bambini a crescere e schiere di esperti pronti a suggerirci come comprendere, ascoltare e capire i nostri figli.
Ciò nonostante, dietro alla maggior parte delle problematiche psicologiche si nasconde una sofferenza vissuta durante l’infanzia.
L’etologia evidenzia una maggiore capacità di entusiasmarsi tra i piccoli delle altre specie e ci segnala che gli esseri umani sulla la scala della felicità non reggono il confronto con gli animali.
È vero che le madri delle altre specie non hanno bisogno di lavorare per vivere e possono permettersi di trascorrere con i loro figli tutto il tempo necessario.
È vero che l’assenza di manuali pedagogici e psicologici permette a queste mamme di ascoltare l’istinto e costruire con i propri cuccioli una relazione capace di soddisfare la dipendenza fino a sentire il bisogno di avventurarsi nel mondo autonomamente.
Ma, nella ricetta della realizzazione personale l’ingrediente segreto che gli animali conoscono e noi ignoriamo è il rapporto intimo con la natura.
Per tutte le altre specie la relazione con l’ecosistema rappresenta un insegnamento imprescindibile per imparare a muoversi nel mondo e crescere sani e forti.
Per i figli dell’uomo, invece, i criteri indispensabili sono l’educazione, la scuola e le norme sociali e, in nome dell’appartenenza al paese e alla famiglia, arrivano ad abiurare il proprio sentire.
Quando l’ascolto del modo emotivo è sostituito dalle regole e dagli specialisti, la psiche perde il contatto con la saggezza profonda e nelle mamme e nei papà si crea un pericoloso senso di insicurezza.
In questo modo prende vita un’educazione priva di risonanza interiore e si spalancano le porte alla violenza e alla crudeltà.
Al punto che ai nostri occhi appare lecito: maltrattare i propri figli per insegnargli a vivere.
La mancanza di un ascolto intimo genera sofferenza e spinge a proiettare le emozioni sgradevoli (rabbia, odio, angoscia, colpa…) su chi ne richiama le caratteristiche, dando forma allo sfruttamento, all’abuso e alle guerre che contraddistinguono la nostra specie.
Non voglio suggerire di imitare ciecamente i comportamenti degli animali.
Ogni specie incarna qualità diverse e gestisce risorse e difficoltà seguendo il proprio percorso evolutivo.
Voglio mettere in evidenza i danni che la prepotenza infligge ai nostri bambini.
Credo che un mondo senza violenza sia possibile, necessario e urgente.
Tuttavia, per realizzarlo ognuno deve fare un’attenta riflessione sui valori e sulle scelte quotidiane.
Una di queste è l’alterigia con cui uccidiamo impunemente le altre creature per soddisfare piaceri spesso effimeri e inutili.
L’arroganza ha delle gravi conseguenze sulla psiche e si ripercuote sull’educazione dei piccoli dando forma a una società carica di sofferenza.
Infatti, mentre ogni altra specie animale ama i propri figli per il piacere che la genitorialità porta con sé, l’uomo si arroga il diritto al possesso della prole pretendendo una devozione, un’abnegazione e una subordinazione sconosciute ai cuccioli di specie diverse.
Per il bene dei nostri figli imponiamo regole, esigiamo rispetto e prescriviamo scelte di vita come se fosse un nostro insindacabile dovere stabilire quale sarà il futuro delle persone che abbiamo messo al mondo.
Così, se per gli animali i compiti genitoriali terminano nel momento in cui i piccoli raggiungono l’età dell’indipendenza, per gli esseri umani l’autonomia è una conquista.
E spesso viene combattuta tra le mura domestiche, proprio perché si scontra con la pretesa paterna e/o materna di ricevere dedizione e sacrificio in cambio del dono della vita.
In questo modo la presunzione si infiltra nella vita di ogni giorno, generando umiliazioni, sofferenze e ribellioni, e provocando innumerevoli patologie.
Avere dei figli dovrebbe essere un piacere libero da ogni tornaconto e indipendente dalle scelte che i cuccioli faranno da grandi, ma gli esseri umani, travolti da una patologia mancanza di empatia, finiscono per dimenticarselo provocando innumerevoli danni a se stessi e al pianeta.
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Solo la specie umana pretende un potere decisionale sulle scelte dei figli, ben oltre l’età della dipendenza!
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L’abitudine al predominio e il disprezzo per la debolezza e per l’ingenuità ci portano a trattare con indifferenza le creature che giudichiamo incapaci di prepotenza o di furbizia.
L’abuso compiuto sugli animali si estende a chiunque incarni ai nostri occhi la stessa innocente arrendevolezza: bambini, donne, omosessuali, portatori di handicap, persone di colore…
Chi appare diverso e/o più debole è costretto a subire.
Tuttavia, questa prepotenza diventa il veicolo della paura perché il detto “mors tua vita mea” vale per tutti e, prima o poi, ognuno può finire vittima di chi possiede un potere maggiore.
Il narcisismo patologico che affligge gli esseri umani si ripercuote sulle nuove generazioni, dando vita a una catena di soprusi senza soluzione di continuità.
Fermarsi a riflettere è doveroso.
Dobbiamo imparare il valore dell’umiltà e riprendere contatto con la natura e con l’ascolto di sé.
La fratellanza e il diritto alla vita sono valori importanti per realizzare un mondo a misura dei bambini.
La relazione con le altre specie evidenzia il modo in cui ci rapportiamo alla diversità e all’ingenuità.
Disprezzare e sfruttare chi non può difendersi apre le porte all’angoscia e alla paura.
Onorare e valorizzare ogni creatura (a qualsiasi specie appartenga) significa costruire una società capace di far convivere la cooperazione con l’autonomia, l’individualità con la partecipazione e il rispetto con l’originalità che ognuno porta in dono alla vita.
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Come ormai succede continuamente, anche questo tuo scritto mi corrisponde profondamente. Che dire.. grazie!!
Roberto