Cambiare le abitudini alimentari è un’impresa difficile e insidiosa che bisogna programmare con cura per evitare delusioni, ricadute e pericolosi vissuti di impotenza.
Per la specie umana mangiare è un rituale intimo e sacro che affonda le radici nelle tradizioni personali, famigliari e sociali, coinvolgendo il sistema psichico e fisico su diversi livelli contemporaneamente.
Come ci insegna la psicologia, l’infanzia del cucciolo d’uomo è caratterizzata da una fase orale, cioè dalla necessità di esplorare il mondo portando ogni cosa alla bocca.
Nei primi mesi, l’allattamento crea tra la mamma e il bambino un’unione così profonda da sostituire l’appartenenza fusionale che caratterizza la vita intrauterina.
Questa meravigliosa sensazione di amore e appartenenza è comune a tutti i mammiferi.
Tuttavia, negli esseri umani si carica di significati che vanno oltre le necessità nutritive e fa sì che l’atto di mangiare si trasformi in un sostituto affettivo irrinunciabile.
Nella società umana il tempo concesso alle madri per stare con i propri cuccioli è sempre più limitato dagli impegni professionali.
Infatti, se da un lato le pari opportunità hanno permesso alle donne di entrare nel mondo del lavoro, dall’altro hanno penalizzato il tempo dedicato alla maternità, costringendo i più piccini ad adattarsi a uno stile di vita frenetico e costruito sulle esigenze del mercato economico più che sulle relazioni fra genitori e bambini.
Le specie animali diverse dalla nostra non sentono il bisogno di lavorare per vivere.
Lo stile di vita degli animali, legato ai ritmi della natura, permette alle mamme un rapporto intimo e costante con i loro piccoli, dando forma a una relazione fatta di fisicità, di contatto e di appartenenza reciproca, in cui l’allattamento è soltanto un aspetto e, certamente, non il più importante.
Le madri umane, invece, sono sempre di fretta e, nel tentativo spasmodico di conciliare le necessità lavorative con le esigenze della genitorialità, non saturano mai il bisogno fusionale che le unisce ai propri cuccioli.
Questo fa sì che il tempo dedicato alla nutrizione sostituisca progressivamente il desiderio di contatto e di appartenenza, trasformandosi in uno strumento di gratificazione affettiva ben oltre le necessità della sopravvivenza.
È in questo modo che i pasti sono diventati il momento privilegiato di condivisione dell’affetto, sostituendo un’infinità di bisogni relazionali indispensabili alla salute emotiva e fisica degli esseri umani.
Sapori e odori richiamano alla mente situazioni passate, positive o negative, riaccendendo memorie dimenticate da tempo.
E, di sicuro, ognuno di noi potrebbe compilare una lista di cibi talmente evocativi da provocare l’emergere dei ricordi soltanto assaporando un boccone!
Gusti e aromi imprescindibili costellano la storia di ogni essere umano e vanificano spesso il desiderio di modificare il modo di alimentarsi.
Infatti, quando la condivisione dei pasti prende il posto della condivisione dei sentimenti e del piacere, i momenti dedicati al cibo assumono un valore insostituibile perché creano legami e intimità altrimenti impossibili da realizzare.
La cura prodigata nella preparazione degli alimenti diventa così il canale privilegiato per esprimere l’affetto, consolidare l’appartenenza al gruppo e regalare uno spazio magico di appagamento emotivo.
Questo spinge a incanalare la creatività nella ricerca di sapori sempre nuovi, capaci di coinvolgere e sorprendere le persone amate, mentre allenta la spinta verso la realizzazione personale in favore della tradizione e dell’approvazione sociale.
Viviamo nella cultura dell’appetitoso, saporito, stuzzicante, gustoso… e nella ricerca costante di pietanze in grado di stimolare l’appetito consentendoci di assaporare sempre di più i momenti dedicati ai piaceri della tavola.
Eppure…
Tutta questa affettività alimentare se da un lato ci consente di sopravvivere in un mondo frenetico e in corsa verso la propria distruzione, dall’altro conduce a una patologica dipendenza dall’ingurgitare quantità spropositate di sostanze tossiche e dannose per la salute.
L’obesità è diventata la normalità e nessuno si sorprende più davanti al proliferare delle intolleranze alimentari, del diabete, del cancro, dell’ipertensione… e di tutte le innumerevoli patologie conseguenti a uno smodato consumo di vivande sempre diverse.
Il gusto è ormai una sorta di divinità onnipotente capace di trasformare il bisogno di sopravvivenza in un momento ricco di suggestioni, fino a sostituire quella condivisione intima e profonda che caratterizza la relazione tra la mamma e il bambino.
Per non sentirsi soli e calmare l’angoscia, almeno per un po’, basta portare qualcosa alla bocca!
E come per miracolo, nell’intorpidimento languido che accompagna la digestione e sposta le energie dalla mente allo stomaco, il dolore si attenua concedendo una tregua dal ritmo incalzante della nostra civiltà.
Viviamo nella cultura del palato e il sapore ha preso il posto di ogni altro piacere, rimpiazzando l’intimità, la creatività, la curiosità, l’empatia e la condivisione di sé e della propria preziosa unicità.
La realizzazione di una buona cena ha sostituito la realizzazione personale, consentendoci di chiudere la mente e di dimenticare le brutture che ammalano la nostra esistenza.
Cambiare le abitudini alimentari significa perciò cambiare il proprio modo d’intendere la vita e cominciare a costruire alternative nuove per stare insieme (a se stessi e agli altri).
Occorre attuare una rivoluzione nel proprio mondo interiore e nel modo di organizzare le proprie giornate, riservando uno spazio (diverso dal cibo) dedicato al piacere e all’ascolto di sé.
Fino a quando cercheremo nel gusto un antidolorifico facile da reperire e gradevole da ingerire, la trappola alimentare ci terrà incatenati dentro una pericolosa dipendenza psichica e fisica.
Perciò affrontare un cambiamento nel modo di nutrirsi vuol dire armarsi di pazienza e affrontare la trasformazione più importante che ci sia.
Quella che veramente consente di cambiare il mondo, perché modifica i presupposti su cui è costruita la nostra società.
Una vita migliore non nasce dall’imposizione di nuove regole comportamentali ma dal progressivo riappropriarsi della libertà e del potere creativo.
Restituire all’alimentazione il suo valore naturale legato soltanto alla sopravvivenza consente di scoprire nuove energie dentro di sé e permette di aprirsi a una nuova umanità, non più schiava degli alimenti ma capace di scegliere di che cosa è davvero necessario cibarsi.
Per stare bene nel corpo, nella mente e nell’anima.
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