Chi ha cani o gatti in casa lo sa perfettamente.
Gli animali ci fanno sentire bene.
È questa la ragione che spinge tante persone a dividere il proprio tempo e la propria vita con una creatura di specie diversa.
Si proprio la morte.
Tutti gli animali gestiscono la morte in modi molto diversi dai nostri.
Quando arriva il momento di lasciare la dimensione terrena non si lamentano e non scappano.
Comprendono che la morte fa parte dell’esistenza e non la combattono.
Certo, vogliono evitare il dolore.
Eppure…
Quando sentono sopraggiungere la fine della vita si appartano entrando in una sorta di trance, lasciando che la propria energia vitale si trasferisca dal piano materiale ai piani sottili.
La specie umana è parte della natura.
Ma a causa di una grave patologia chiamata antropocentrismo, se ne è distaccata ergendosi a dominatrice di tutto ciò che ha intorno e demolendo in se stessa le radici della propria animalità e del proprio benessere.
La natura, infatti, è un aspetto di noi e quando la maltrattiamo o, peggio, la distruggiamo, inevitabilmente finiamo per distruggere anche noi stessi.
Prendono forma da qui tante sofferenze psicologiche che fanno la fortuna delle case farmaceutiche.
È per questo che tante persone scelgono di condividere le proprie giornate con animali e/o vegetali bisognosi di tempo, attenzione, dedizione e cura.
Tuttavia sono ancora pochi gli esseri umani in grado di coltivare l’umiltà necessaria a vivere in accordo con il Tutto di cui siamo parte.
E dall’arroganza che caratterizza la nostra specie scaturiscono innumerevoli conseguenze negative sia per noi sia per il pianeta.
Ecco perché la convivenza con quegli esseri che docilmente accettano di condividere la propria esistenza con la nostra nel migliore dei casi si riduce ad una sorta di maternage privo dell’umiltà necessaria per apprendere modi nuovi di attraversare la realtà.
Considerare gli animali alla stregua di bambini (anziché adulti perfettamente in grado di intendere e di volere) ripropone lo schema antropocentrico della superiorità umana e non consente lo sviluppo di una relazione di reciprocità dove possa aver luogo lo scambio dei saperi, l’unica relazione in grado di insegnarci comportamenti più autentici e cooperativi.
Gli occhiali dell’antropocentrismo deformano la realtà mostrandoci costantemente creature ingenue e maldestre, incapaci di performance simili alle nostre.
L’errore sta nel considerare le loro abilità usando noi stessi come unità di misura, anziché osservarne le competenze con un interesse privo di pregiudizi.
Nessun essere umano potrebbe vivere senza un tetto sopra la testa, un condizionatore, l’acqua corrente, un supermercato, una farmacia, un’automobile, dei vestiti… e via dicendo.
Cose indispensabili nel nostro mondo.
Il mondo che usiamo come parametro per valutare le abilità delle altre specie.
Proviamo invece a considerare l’agilità fisica, l’orientamento in mezzo alla natura, il sesto senso, la capacità di procurarsi il cibo autonomamente, la resistenza alle temperature naturali.
Se osserviamo gli animali selvatici con questi criteri il confronto diventa improponibile per la maggior parte dell’umanità.
Ne usciamo deboli, incapaci e perdenti.
E questo dovrebbe indurci ad un atteggiamento di umiltà e ad una maggiore considerazione verso chi mostra abilità a noi sconosciute.
Tuttavia l’antropocentrismo ci rende ciechi e ottusi, pronti a far valere la nostra presunta superiorità narcisisticamente autoproclamata.
E ci spinge a costruire un mondo fatto di competizione, potere e sopraffazione.
Il mondo in cui viviamo ogni giorno.
Il mondo che ci fa ammalare e soffrire di patologie (mentali e fisiche) sconosciute agli animali che vivono liberi nella natura.
La salute mentale non si raggiunge con tanti farmaci colorati capaci di sopprimere le emozioni fino a livellarci l’umore in un range funzionale al profitto delle multinazionali.
Perché solo così prendono forma il benessere, la soddisfazione e il senso di efficacia personale.
Gli animali ce lo insegano con l’esempio della loro vita.
Mentre noi li guardiamo con disprezzo e sufficienza.
Poi ci ammaliamo di depressione senza sapere perché.
Ho tutto ciò che desidero: una casa, una famiglia, un lavoro, le vacanze, gli amici, i figli… eppure non sono felice.
Tante persone, nel segreto della psicoterapia, raccontano così la propria esistenza.
Perché la felicità è uno stato d’animo irraggiungibile seguendo i dettami nostra della società.
Gli animali ce lo mostrano costantemente.
Noi lo abbiamo dimenticato.
Ci sentiamo superiori.
Li alleviamo, li ammazziamo e li usiamo.
Poi moriamo di solitudine e di dolore senza sapere il perché.
Carla Sale Musio
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