Allo sguardo infantile, ancora immerso nella Totalità del mondo intrauterino, i genitori appaiono creature simili a Dio: onnipotenti, perfetti e capaci di soddisfare ogni necessità.
Si tratta di un’aspettativa impossibile da realizzare nella realtà.
Tuttavia, nella delicata psiche dei piccoli, trasforma le mancanze di mamma e papà in ingiustizie, traumi e angosce terribili a cui sarà necessario porgere la dovuta riparazione… da grandi.
Infatti, una volta raggiunta la maturità, le parti bambine della personalità ci tireranno la manica, sicure che finalmente saremo noi a prenderci cura di loro nel modo giusto.
Spesso, però, gli adulti che siamo diventati trattano quelle sofferenze con la stessa distratta considerazione vissuta nel passato, costringendo il cucciolo interiore a cercare all’esterno le compensazioni necessarie per sanare le proprie ferite.
Atterriamo nella vita portando con noi la sicurezza di un potere divino pronto a soddisfare ogni nostro desiderio con sollecitudine, e questo ci spinge a credere in una reciprocità affettiva miracolosa e impossibile nella nostra realtà.
Da piccoli e, spesso, anche da grandi, pretendiamo un amore incondizionato, perfettamente sovrapponibile alle esigenze che animano il mondo interiore.
Come se le persone deputate a volerci bene dovessero essere sempre al corrente dei nostri bisogni e pronte a soddisfarli di momento in momento.
Questa aspettativa infantile trasforma l’innamoramento nel sogno di un partner capace di farci raggiungere l’appagamento che è mancato in passato.
È un desiderio inconscio che affonda le proprie radici nel pensiero egocentrico dei bambini e spinge a cercare una compensazione nella relazione di coppia.
Quando non viene riconosciuto, nel tentativo di realizzare la magia affettiva tanto desiderata, perdiamo di vista il significato della reciprocità e smarriamo il percorso di consapevolezza che l’amore porta con sé.
Perché, senza rendercene conto, sovrapponiamo i codici della Totalità (da cui proveniamo) ai limiti della dualità (in cui viviamo), caricando l’oggetto del nostro desiderio di aspettative e significati che trascendono la reciprocità e investono la relazione di un compito impossibile.
Infatti, per sanare il bilancio emotivo rimasto in sospeso e mettere in scena il copione dell’infanzia (trasformando il finale in un happy end) è necessario che il partner di cui ci innamoriamo impersoni le caratteristiche negative dei genitori.
Tanti amori controversi prendono vita dalla familiarità e dall’attrazione per chi incarna qualità e difetti delle persone che più abbiamo amato da bambini, spingendoci a cercare un appagamento miracoloso destinato a deluderci.
L’amore è un sentimento disinteressato e prescinde dalle ingiustizie vissute nel passato.
Incatenarlo ai traumi infantili alimenta la richiesta di una diponibilità affettiva impossibile da raggiungere e impedisce alla crescita emotiva di svilupparsi nella reciprocità.
La cultura romantica coltiva da sempre il mito del Principe Azzurro (e della Principessa Azzurra), idealizzando un rapporto di coppia in cui tutto scorre spontaneamente nella direzione voluta, senza difficoltà e senza responsabilità.
Ma dal punto di vista psicologico questo scenario incantato ci trascina inevitabilmente verso il fallimento.
Un partner scelto con tali criteri, infatti, rievoca emozioni, atteggiamenti e sentimenti sperimentati in famiglia e, se da un lato offre l’occasione per superare le difficoltà di un tempo, dall’altro rischia di imprigionarci dentro un copione ripetitivo e malsano fatto di frustrazioni insormontabili.
È difficile assumersi la responsabilità delle proprie azioni rinunciando a quel risarcimento danni tanto ambito e incentivato dalla letteratura, dalle fiabe e dal mito.
Comprendere i limiti di queste scelte significa accettare che i nostri genitori siano stati carenti, inadeguati e imperfetti.
Non i super eroi che ci saremmo aspettati da bambini, ma persone qualunque: con tante difficoltà e tante incertezze, incapaci di rappresentare nel mondo fisico la Totalità da cui proveniamo.
Questa verità disincantata evidenzia gli scenari infantili mettendo in luce imperfezioni e limiti.
Il partner che scegliamo (proprio come noi e come i nostri genitori) è una persona impegnata a combattere la difficile battaglia per la realizzazione di sé e non l’eroe mandato dal destino per salvarci da una fanciullezza infelice.
Cambiare il finale della nostra infanzia non è possibile: nessuno nel presente potrà salvarci dal passato.
La musica familiare delle reminiscenze infantili va ascoltata, danzata, compresa e gestita dentro noi stessi.
Proiettarla su di un partner idealizzato crea non pochi fraintendimenti, alimentando nella psiche le fantasie delle parti immature.
Non serve cercare qualcuno che si prenda cura dei bambini che siamo stati.
Occorre invece che i nostri sé adulti si rivolgano con amore al mondo infantile e finalmente regalino al cucciolo interiore la dedizione necessaria per crescere.
Nessuno meglio di noi può sapere di cosa ha bisogno e quando.
Soddisfare autonomamente i sogni del passato significa prendere in adozione quel bambino sperduto che ancora vive dentro noi stessi, permettendogli di raccontarci la sua sofferenza senza sfuggirla (come hanno fatto gli adulti di un tempo) e senza delegare ad altri il compito di occuparsene.
Solo così diventa possibile andare incontro all’Amore.
Quello vero.
Quello che non dipende dalla reciprocità dell’altro ma dal piacere di donarsi.
Senza pretendere.
Quando offriamo a noi stessi un ascolto disinteressato e pieno di attenzioni possiamo vivere la reciprocità anche nelle relazioni con gli altri.
L’amore prende forma nel mondo intimo e poi si avventura nella vita.
Non per cercare un Principe Azzurro o una Principessa Azzurra ma per colorare la nostra esistenza del suo profondo significato.
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