La nostra certezza di esistere poggia su una consapevolezza che sfugge al pensiero concreto.
La percezione di sé non è misurabile con gli strumenti della scienza, non è oggettiva, ripetibile o quantificabile, appartiene a un sentire interiore che possiamo convalidare soltanto ascoltando noi stessi.
“Penso, dunque sono.”
Sosteneva Cartesio, per confermare la propria realtà senza perdersi nell’ingannevole percezione materiale dei sensi.
La nostra più profonda verità è personale, intima, esiste al di fuori dello spazio e del tempo in una dimensione della coscienza diversa da quella della corporeità.
L’immaterialità non trova conferme nei laboratori scientifici, non è contemplata dai programmi scolastici e non ne parlano i telegiornali, tuttavia si tratta di un sapere con cui ci dobbiamo confrontare.
Inevitabilmente.
Soprattutto quando ci interroghiamo sul significato della vita e della morte.
Chi bazzica il mondo interiore, per mestiere o per scelta, è facilitato in questo compito perché impara a orientarsi nella soggettività che caratterizza i vissuti emotivi.
Chi invece ha bisogno di ottenere le proprie conferme da una dottrina esterna a sé, quando si trova davanti alla morte delle persone che ama sprofonda in un baratro di dolore e difficoltà.
La mancanza fisica, infatti, provoca uno strappo nell’anima, una ferita che si rimargina grazie alla fiducia nel proprio sentire e nella permanenza dei legami affettivi.
Tuttavia, parliamo di una certezza indimostrabile in laboratorio, perché l’amore sfugge agli strumenti della scienza e si convalida solo ascoltando il proprio cuore.
Così, se vogliamo comprendere cosa succede quando il corpo non c’è più, dobbiamo aprirci a una realtà soggettiva, fatta di sentimenti più che di apparecchiature mediche o di rituali religiosi, e abbracciare un sapere fondato sull’ascolto della propria intima verità.
“Cogito, ergo sum.”
Ci ricorda Cartesio, sottolineando il valore imprescindibile del nostro pensiero e del nostro sentire interiore, e affermando l’importanza di una realtà che esiste dentro noi stessi.
Come il pensiero anche l’amore possiede una pregnanza irraggiungibile basandosi solo sui cinque sensi.
Eppure, nonostante la sua mancanza di prove concrete, è una verità che nessuno può ragionevolmente mettere in discussione.
Non è possibile affermare che l’amore non esiste.
Sappiamo tutti con matematica certezza che un’esistenza senza amore perderebbe il suo valore riducendosi a un cumulo di esperienze prive d’intensità e significato.
(Lo verificano quotidianamente gli specialisti della psiche che si occupano di patologie conseguenti alla mancanza di amore.)
L’amore è un’energia imprescindibile e immortale perché si colloca fuori dalla caducità della materia, in uno spazio intimo fatto di sensibilità.
Non si può misurare con gli strumenti della scienza, tuttavia determina la salute o la malattia ed è la causa prima della nostra sopravvivenza e di una esistenza appagante.
Senza amore si muore.
Ma soprattutto muore la consapevolezza della profondità della vita.
Studiare le dimensioni dell’amore significa uscire dalla tirannia della materialità e avventurarsi in un mondo sottile, fatto di soggettività e di evidenze interiori.
La morte è una di queste.
E l’orrore che l’accompagna è tale soltanto quando la osserviamo indossando gli occhiali della corporeità.
Quando muore una persona cara la sofferenza per la perdita della fisicità ci toglie il respiro.
Ma spesso l’anima sembra imperturbabile di fronte alla catastrofe che pure stiamo vivendo interiormente.
Tante persone raccontano un’inspiegabile indifferenza nonostante la scomparsa di qualcuno che hanno amato moltissimo.
“Ero come anestetizzato.”
“Sapevo che era successo qualcosa di terribile eppure non mi sembrava reale.”
“Non provavo nulla.”
“Mi sentivo quello di sempre, come se non fosse successo niente.”
Sono parole cariche di sgomento, quasi uno scoprirsi aridi e privi di sentimenti.
Tuttavia sono proprio queste le sensazioni a segnalare la continuità dell’amore, la convinzione inconfessabile che nulla sia realmente cambiato.
L’amore, infatti, non finisce.
Nemmeno quando si muore.
Vive al di fuori del tempo, in un piano della coscienza che non è misurabile con i cinque sensi.
In quello spazio intimo e profondo tutto esiste in un eterno SEMPRE e il legame che ci unisce continua a svilupparsi, perché è fatto di un’energia che non può morire.
La certezza di questa immortalità dimora in una dimensione infinita e onnipresente.
E ci accompagna in ogni istante della nostra esistenza.
La morte è la fine del corpo e dell’esperienza materiale.
Se ci diamo il permesso di guardare oltre i confini della fisicità, scopriamo un mondo nascosto fatto della stessa essenza impalpabile di cui è fatto il pensiero e altrettanto vitale.
Ammettere la permanenza dell’amore significa osservare la morte da un punto di vista nuovo, capace di accogliere la Totalità dell’esistenza superando i limiti della concretezza e imparando i codici dell’infinito.
Solo così è possibile ascoltare le voci di chi non esiste più nello spazio e nel tempo ma cerca di raggiungerci parlando al nostro cuore.
Traccia: leggi il testo e sottolinea con colori diversi le frasi che si riferiscono al TATTO, GUSTO, OLFATTO, VISTA, UDITO.
Bambina di 9 anni: Anna ma la frase ” i ragazzi erano dispiaciuti” con quale senso si percepisce?
Io: con quello più importante, tanto importante da conoscerlo così tanto bene che non hai bisogno di leggerlo in un libro o di una maestra che ti insegni a riconoscerlo…
Bambina: basta basta ho capito l’amore, il dispiacere é un sentimento.
Grazie Carla leggerti mi fa essere una maestra migliore.
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Bambina: basta basta ho capito l’amore, il dispiacere é un sentimento.
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