SEPARAZIONE: concedere al partner il diritto di odiarci
Chi sceglie di separarsi e di mettere fine a un matrimonio o a una convivenza va incontro a ripensamenti, sensi di colpa, esitazioni e perplessità.
Anche quando in cuor suo ha già deciso e sente che non è più possibile proseguire il cammino insieme.
L’incertezza che attanaglia le viscere e crea tanti dubbi, però, spesso non riguarda la relazione col partner quanto, piuttosto, l’immagine idealizzata di sé che ognuno coltiva nel proprio mondo interiore.
Per ottenere approvazione e stima, infatti, costruiamo costantemente dei modelli di comportamento ideali, a cui ci sforziamo di assomigliare.
La separazione mette in crisi il bisogno di perfezione e costringe ad assumere la responsabilità anche di quegli atteggiamenti che sono stati giudicati negativi e confinati nell’inconscio.
Mettere fine a un matrimonio conduce inevitabilmente a deludere le aspettative (proprie e del partner) e ad affrontare il fallimento del progetto costruito insieme.
Significa accettare di non poter mantenere le promesse iniziali, anche quando questo infrange le attese della persona che abbiamo amato e con cui, un tempo, avremmo voluto condividere tutta la vita.
Non è una scelta facile.
Le parti rinnegate di noi si fanno avanti nella coscienza, e un critico interiore, instancabile e rigoroso, cerca di allontanarle come può.
Senza riuscirci.
Emergono quei sé confinati nell’inconscio (nel tentativo di emulare la nostra immagine ideale) che, approfittando del momento di crisi, rivendicano il proprio bisogno di indipendenza e confliggono con altri sé, desiderosi di piacere incarnando l’archetipo del bravo marito o della brava moglie.
Un disagio interiore spinge a cercare di salvare almeno le apparenze e (inseguendo il difficile equilibrio tra autostima, desiderio di approvazione e indipendenza) stimola il bisogno di ottenere almeno il consenso delle persone che abbiamo intorno.
Nel tentativo disperato di non distruggere la perfezione dell’immagine idealizzata che abbiamo costruito di noi stessi, ci sforziamo di mettere ordine nella battaglia interna tra i diversi sé cercando approvazione e stima all’esterno.
Ma questa ricerca di consensi ci allontana pericolosamente dalla nostra integrità più profonda e finisce per occultare i bisogni autentici.
Ecco quindi arrivare i ripensamenti, le incertezze e i sensi di colpa, che amplificano l’inevitabile confusione emotiva.
E, per mitigare la sensazione d’inadeguatezza, finiamo per desiderare l’approvazione del partner, proprio nel momento in cui ne stiamo deludendo le attese.
Il bisogno inconscio di mantenere intatta la sua stima ci spinge a sostenere discussioni estenuanti e, spesso, cariche di colpe, accuse e rancori.
In un crescendo emotivo che, lungi dal soddisfare la reciprocità e l’apprezzamento, precipita il rapporto in un vortice d’incomprensioni.
Per uscire da questo tunnel è indispensabile assumersi la responsabilità delle proprie scelte, lasciando all’altro il diritto di odiarci.
A prescindere dalle ragioni o dai torti di ciascuno.
Chi non ha ancora maturato dentro di sé il desiderio di concludere il matrimonio, può aver bisogno di disprezzare il coniuge che, invece, ha già scelto di continuare il percorso da solo.
La rabbia è un antidolorifico potente e consente di alleviare per un po’ i morsi della sofferenza, dell’umiliazione e della paura.
Pretendere di ottenere l’approvazione di chi si sente costretto a subire una scelta che ancora non gli appartiene, è un atto carico di onnipotenza e di orgoglio, e, spesso, nasconde l’angoscia di individualizzarsi da un’inconscia simbiosi di coppia.
Concedere al partner il diritto di odiarci, senza volergli imporre il nostro punto di vista, è un gesto d’amore e di rispetto per le sue emozioni e la sua individualità, e crea le premesse per una reale indipendenza.
Di solito, la separazione è la conseguenza di un’impossibilità a condividere la vita insieme, che nasce da vissuti differenti e inconciliabili.
In questi casi, permettersi di impersonare la parte del cattivo agli occhi dell’altro, senza pretendere di avere ragione, di essere buoni o di essere capiti, è un passo inevitabile verso l’autonomia e il cambiamento.
Il voler bene non sempre è fatto di una stucchevole e uniforme condivisione di principi uguali.
Più spesso attraversa momenti burrascosi di divergenza, in cui l’amore può esprimersi soltanto nell’accettazione di punti di vista contrastanti.
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