Il concetto di identità ci insegna a riconoscerci in un insieme di caratteristiche che ci definiscono e ci rendono unici, inconfondibili e diversi da chiunque altro.
“Sono fatto così…”
“È il mio carattere…”
“Sono un’idealista…”
“Sono un impulsivo…”
Nel linguaggio comune usiamo spesso affermazioni che ci conducono a identificare noi stessi in un gruppo di comportamenti predefiniti.
Siamo convinti che la coerenza sia un indicatore capace di segnalare l’affidabilità delle persone e la stabilità della psiche.
E giudichiamo incoerente, cioè sbagliato, chi si lascia trascinare dagli eventi o dalle emozioni, senza avere un’identità precisa.
Fino ad oggi, le ricerche scientifiche hanno avvalorato questo stile di pensiero, definendo innumerevoli tipi psicologici in cui incasellare i comportamenti e le persone.
Nei testi di psicologia troviamo tante descrizioni minuziose delle diverse strutture di personalità.
Ci sono i melanconici, i flemmatici, i collerici, i sanguigni, gli estroversi, gli introversi, i rigidi, gli orali, i masochisti, gli schizoidi, gli psicopatici… e chi più ne ha più ne metta!
In un crescendo che dalla normalità tracima nella patologia.
Persuasi di conquistare equilibrio, stabilità e attendibilità, ci affezioniamo ai nostri modi abituali di reagire agli eventi e finiamo per interpretare il mondo utilizzando sempre lo stesso tipo di atteggiamenti e restando imprigionati dentro una fissità comportamentale che non lascia spazio ad altre possibilità.
Nasciamo liberi, empatici, creativi e pieni di curiosità, pronti ad avventurarci nella vita per sperimentare le sue multiformi possibilità.
Ma l’inesperienza ci porta a scontrarci molto presto con la sofferenza e con la paura.
E, nel tentativo di proteggerci dalle emozioni sgradevoli, consolidiamo quei comportamenti che ci permettono di evitare il dolore e di ottenere approvazione e amore.
Prende forma così un team di modi di fare che caratterizza e definisce quella che crediamo essere la nostra personalità, mentre tutto ciò che nell’infanzia non ha funzionato viene archiviato in un angolo dell’inconscio.
In attesa di tempi migliori.
Tempi che non arrivano mai, perché l’abitudine struttura una routine comportamentale in grado di reagire automaticamente alle circostanze della vita, senza una partecipazione attiva e strategica della coscienza.
In questo modo la personalità diventa una sorta di automatismo emozionale che, apparentemente, ci consente di evitare la sofferenza, ma, più profondamente, limita le nostre possibilità in un range comportamentale stereotipato e inadatto a far fronte alla poliedricità dell’esistenza.
Aprirsi alla molteplicità dei sé interiori fa paura.
Temiamo di perdere il controllo, finendo preda di atteggiamenti disdicevoli, pericolosi, fuorvianti o patologici.
Ma cosa succede a quelle parti di noi escluse dalla coscienza e relegate in una segreta dell’inconscio?
Nonostante i nostri sforzi per evitarle, non possono sparire e continuano ad agire sotto la soglia della consapevolezza.
Diventando gli artefici di quei piccoli o grandi incidenti a cui non sappiamo trovare spiegazione e che, impropriamente, attribuiamo al destino, alla sfiga, al karma, al caso o al giudizio di Dio.
La personalità non è mai una soltanto ma appartiene a un insieme infinito di comportamenti possibili che l’io sceglie di utilizzare per far fronte alle diverse esigenze della vita.
Siamo convinti di avere un solo sé: capace di prendere decisioni, di compiere scelte, di architettare strategie e di guidarci fuori dai labirinti delle difficoltà.
Tuttavia, la realtà interiore è assai diversa da quello che comunemente si crede.
Il mondo psichico è popolato da innumerevoli personalità che si propongono alla coscienza per offrirle i propri talenti e la propria visione della vita.
Ogni personalità appartiene a un sé e possiede un suo peculiare punto di vista sulla realtà: un carattere, una saggezza, una sapienza, una filosofia e degli atteggiamenti con cui va incontro agli eventi.
Abbiamo sempre a disposizione tanti sé diversi, pronti a offrirci la loro esperienza e a guidarci, ognuno con i suoi modi, nel nostro percorso evolutivo.
Sceglierne sempre e solo alcuni limita le possibilità di superare con successo le prove dell’esistenza e ci confina in quella monotonia comportamentale ed emotiva da cui prende le mosse la patologia.
La salute mentale, infatti, scaturisce dalla capacità di accogliere con consapevolezza l’infinita molteplicità dei sé che costellano l’esistenza, senza identificarsi con nessuno ma riconoscendone l’autonomia all’interno della coscienza.
Imparare a distinguere ogni sé, senza lasciarsene possedere totalmente, permette di modularne consapevolmente le risorse, creando le premesse per una vita ricca di possibilità e di significato.
Si tratta di comprendere che ognuno di noi governa un insieme potenzialmente infinito di modi di essere che, proprio come tante persone distinte, si alternano alla guida della nostra consapevolezza nelle diverse circostanze della vita.
Ogni sé possiede gli strumenti per far fronte a un compito specifico e mostra una fisionomia propria, con pregi, difetti e idiosincrasie.
Imparare a percepirne l’energia e le peculiarità senza perdere la visione lucida del loro alternarsi, consente di utilizzarne positivamente le competenze e di non esserne fagocitati.
Al contrario, credere di avere una sola personalità porta a cedere la guida della coscienza a pochi sé predefiniti (in genere i più prepotenti) e non permette di modularne la varietà e le risorse.
Si crea così una stereotipia comportamentale ed emotiva che può sfociare nella patologia quando il pool dei sé con cui ci identifichiamo diventa inadatto a far fronte alle necessità della vita.
Concepire l’identità come un insieme di caratteristiche prive di contraddizioni e sempre uguali è un modo pericoloso di circoscrivere il fluire dei sé, limitandone le risorse in un range di comportamenti pericolosamente monotoni.
Al contrario, aprirsi alla poliedrica esperienza di una personalitàmultipla, capace di alternare le competenze dei diversi sé, senza identificarsi con nessuno, genera, forse, un certo disorientamento, ma è il primo passo per affrontare con successo la creatività della psiche.
Avere una Personalità Creativa vuol dire riconoscere in se stessi l’esistenza di tante personalità diverse e instaurare con ciascuna un dialogo, volto ad approfondirne la conoscenza, fino a creare nella psiche un ego consapevole, capace di valorizzare tutte le risorse lasciandone fluire le potenzialità.
Significa chiedersi, di momento in momento, quale sé stia agendo nel mondo interiore, accettando la coesistenza di tanti punti di vista diversi contemporaneamente.
In questo quadro la coerenza, lungi dall’essere una garanzia di affidabilità e di stabilità, indica, invece, la pericolosa dittatura di un sé all’interno del mondo interiore e segnala la rigidità piuttosto che l’equilibrio.
Imparare a gestire una molteplicità di punti di vista è il presupposto per una visione ampia e profonda della realtà, un modo di osservare la vita in grado di accogliere tante verità senza discriminare, scegliendo, di volta in volta, le risorse più adeguate ad affrontare gli eventi.
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Buonasera Carla
Ho letto il libro “la personalità creativa” e mi sono sentita compresa e sollevata come mai prima d’ora
Grazie di cuore
Paola