Ci vogliono tre generazioni per creare una società intrisa di violenza.
La violenza si alimenta nel conflitto e tracima in seguito alla lotta (tra giusto e sbagliato, vero o falso, buono o cattivo…) che ne consegue.
Il contrasto tra le polarità spinge a proiettare fuori di sé tutto ciò che è stato etichettato come “male”, eliminandolo dal proprio mondo interiore senza assumersene mai la responsabilità.
Quando la colpa, il giudizio e la critica prendono piede nella vita emotiva, il sopruso e la distruzione nella società sono garantiti.
Uno stile educativo basato sulle punizioni fisiche e sul ritiro dell’affetto genera sempre la paura e spinge i piccoli a nascondere la spontaneità per ottenere il consenso dei grandi.
Si formano così nella generazione successiva quei giovani rispettosi e remissivi che piacciono tanto alle organizzazioni coercitive e che diventeranno uomini e donne capaci di rinunciare all’autenticità di se stessi per ubbidire alle direttive del più forte.
Una mamma e un papà punitivi fanno crescere adulti disciplinati e ligi al dovere, futuri genitori che, a loro volta, alleveranno figli pronti a spostare al di fuori di sé i vissuti censurati dal sistema educativo per combatterli all’esterno della propria personalità.
Così:
mentre la prima generazione stabilisce la colpa, addossando sui figli il peso di un peccato originale (mai commesso ma comunque infamante: Sei un bambino e devi ubbidire!),
la seconda impara a vergognarsi e a sottomettersi, spostando il conflitto al di fuori di sé,
e, la terza potrà finalmente perseguitare il male per distruggerlo, attaccando i rappresentanti su cui è stato proiettato.
Per sentirsi buoni e amabili è indispensabile riconoscersi nei principi e nei valori professati dalle persone cui vogliamo bene, primi fra tutti i genitori che (con i loro comportamenti) ci insegnano cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è opportuno e cosa è disdicevole, cosa è sano e cosa è patologico… lasciandoci in eredità il modello di una buonaeducazione.
Assorbiamo da piccoli l’essenza del bene e del male e, una volta diventati grandi, portiamo avanti le nostre battaglie (dapprima interiori e in seguito esteriori) volte a eliminare dall’esistenza tutto ciò che abbiamo imparato a considerare male, per fare posto a ciò che, invece, riteniamo essere bene.
Da questa lotta tra bene e male, scaturiscono tutte le guerre e tutte le malvagità.
Ogni battaglia combattuta nel mondo è da principio una battaglia interiore volta a preservare l’immagine idealizzata di se stessi, perseguitando al di fuori di sé, chi evoca la memoria di ciò che non approviamo dentro di noi.
Per esempio:
Provo un piacere che giudico sbagliato tutte le volte che guardo la mia vicina di casa.
Penso che un uomo serio non dovrebbe desiderare altra donna che la propria moglie.
Non posso tollerare di avere dei sentimenti che ritengo illeciti.
Perciò rimuovo dalla mia consapevolezza ogni pensiero di quel tipo.
E combatto nel mondo esterno una crociata contro l’adulterio e l’immoralità.
Ancora:
Mi piace mangiare smodatamente per il solo piacere del gusto, incurante delle calorie e della tossicità degli alimenti.
Penso che una persona intelligente dovrebbe nutrirsi con moderazione senza mai diventare dipendente dal cibo.
Giudico sbagliato il mio piacere di nutrirmi senza regole e senza misura.
Perciò proibisco a me stesso di abbuffarmi e rimuovo il desiderio che anima la mia golosità.
Ora posso guardare con disprezzo chi mangia troppo e deridere senza rimorsi le persone in sovrappeso, giudicandole ingorde e colpevoli.
Ogni guerra insorta nella vita emotiva si riflette nei comportamenti esteriori e (quando non ce ne assumiamo pienamente la responsabilità) ci spinge a incriminare chiunque incarni l’icona del nostro conflitto.
Per cambiare questo stato di cose e realizzare una società fondata sulla pace e sull’accoglienza di tutte le creature è indispensabile interrompere il circolo vizioso che fomenta la scontro tra le polarità, individuando le radici inconsce della violenza fino a comprendere che il male è solamente l’altra faccia del bene.
Combattere il male (con il giudizio, l’ostracismo, la negazione, la rimozione o lo spostamento) porta ad amplificarne il potere e fa crescere l’odio e la persecuzione nella vita di tutti i giorni.
Nel mondo della dualità schierarsi acriticamente dalla parte del bene conduce inevitabilmente a potenziare il male.
Ogni cosa possiede un aspetto complementare e opposto a se stessa perché, nella fisicità in cui viviamo immersi, la polarità è lo strumento che ci permette di circoscrivere la realtà.
Le esperienze, gli eventi, le conoscenze, gli oggetti… possono essere accolti e compresi dalla coscienza soltanto quando esiste il loro contrario.
Il contrasto evidenzia le peculiarità dell’esistente permettendoci di riconoscere e identificare le cose.
Impariamo a distinguere il bianco solamente perché esiste anche il nero, altrimenti non riusciremmo percepirlo.
Amputare dal nostro mondo interiore ciò che non ci piace, per ammirare un’immagine idealizzata di come vorremo apparire, è un meccanismo di difesa che induce nella psiche una pericolosa deresponsabilizzazione, spostando all’esterno il giudizio, la colpa, il disprezzo e l’ostilità, e impedendoci di riconoscere e far crescere le parti immature di noi stessi.
Combattere il male, proiettandolo fuori di noi, incrementa l’odio, la superficialità e l’aggressività, e genera un circolo vizioso senza soluzione di continuità.
Infatti, il male diventa insostenibile quando si cerca di eliminarlo da sé.
Viceversa, accoglierlo nella coscienza e comprenderlo senza lasciarsene possedere schiude prospettive nuove all’interno della psiche e permette di evitare i conflitti e la brutalità conseguenti al disprezzo e all’emarginazione.
Osservare ciò che si agita nell’inconscio, senza giudicarlo e senza censurarlo, è il primo passo verso una civiltà libera dalle guerre e dalla violenza.
Nel mondo della materialità ogni cosa vibra nelle polarità che modellano la vita, aiutandoci a riconoscere l’esistenza dall’indistinta immensità del Tutto.
Abbiamo tante sfumature diverse che, di momento in momento, ci consentono di scegliere ciò che ci piace e ciò che, invece, ci disgusta.
Ma questa scelta diventa uno strumento di crescita solo quando ce ne assumiamo tutta la responsabilità, accogliendo dentro di noi l’intera tavolozza dei colori con cui dipingiamo l’esistenza.
Bene e male disegnano verità relative, legate al punto di vista da cui si osserva la vita.
Nella realtà interiore esistono infinite possibilità espressive e ognuna porta in dono alla coscienza la sua profondità e la sua saggezza.
Anche quelle che non ci piacciono e che ci fanno vergognare.
A vergognarsi, infatti, è soltanto un aspetto della Totalità di noi stessi.
Osservare questa Totalità con rispetto, attenzione e sincerità è il primo passo per costruire quella democrazia interiore capace di generare il mondo dell’accoglienza, della fratellanza e della solidarietà che tutti auspichiamo.
Un mondo finalmente libero dai soprusi e dalla prepotenza, dove sia possibile cogliere il valore della poliedricità senza identificarsi e senza emarginarne nessuno, cavalcando gli opposti e modulandone le risorse per vivere in armonia con se stessi e con gli altri.
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