CIBO ETICO E CIBO TOSSICO: MANGIARE SENZA UCCIDERE
Da sempre gli esseri umani hanno affermato la propria superiorità sugli altri animali ricorrendo ai poteri della spiritualità, dell’intelligenza e dell’etica.
Se analizziamo le molteplici ragioni che giustificano l’abuso di tante creature troviamo al primo posto le religioni che di comune accordo affermano la discendenza della nostra specie dalla Divinità e sanciscono il diritto alla dominazione dall’alto dei loro poteri soprannaturali.
Grazie a una presunta somiglianza con Dio (o chi per lui), ci siamo posti all’apice di una piramide in cui a seguire troviamo gli animali, le piante e, infine, i minerali.
In seguito a questa visione, poco amorevole e decisamente egocentrica, abbiamo autorizzato il predominio e lo sfruttamento di ogni altra forma di vita.
Continuando a scorrere l’elenco dei motivi che sostengono la nostra supremazia, dopo i poteri spirituali incontriamo i poteri intellettuali.
Naturalmente quelli della nostra razza.
Le valutazioni dell’intelligenza, infatti, sono basate esclusivamente sulle abilità degli esseri umani e riguardano: le proprietà di linguaggio, le capacità di calcolo matematico, le competenze nell’associare simboli e cose, la memoria di cifre… e altre performance del genere.
Nessun riferimento, invece, è riservato al rispetto dell’ecosistema, alle capacità di sopravvivenza in ambienti naturali e non colonizzati dall’uomo, alla comprensione della biodiversità, all’intelligenza emotiva, alle abilità telepatiche, alla possibilità di orientarsi istintivamente per ritrovare luoghi o percorsi, all’intuizione e alle molteplici altre risorse che appartengono agli animali.
Tutte le valutazioni delle capacità cognitive sono calibrate su competenze umane e, in questo quadro, le altre specie non possono che apparire carenti, confermando una visione antropomorfa e priva di empatia, che arroga insindacabilmente alla specie eletta da Dio il diritto allo sfruttamento del pianeta.
Al terzo posto, infine, abbiamo l’etica, cioè la capacità di valutare il bene e il male, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Ma ahimè, questo parametro subisce irrimediabilmente l’influenza degli altri due.
Il bene e il male, infatti, sono il bene e il male dell’uomo, e le bestie, ritenute prive di valore, sono esonerate da qualsiasi considerazione.
Così, mentre inorridiamo davanti al cannibalismo e sosteniamo che cibarsi di altri esseri umani sia una perversione e un abominio, nessuna importanza è data alla pratica comune di uccidere gli animali per farne il nostro pasto.
L’etica è sempre e solo quella della nostra specie e ogni altra creatura è considerata uno strumento per il nostro piacere o per il nostro servizio.
L’elenco delle ragioni che attestano la superiorità della specie umana potrebbe continuare ancora, ma bastano soltanto questi pochi punti per comprendere quanto l’egocentrismo e la presunzione contaminino la nostra cultura, condizionando le nostre scelte e portandoci a calpestare il diritto all’esistenza di tanti esseri viventi.
Sosteniamo che mangiare sia indispensabile per la sopravvivenza e, senza rendercene conto, condanniamo noi stessi alla coercizione e alla prepotenza nel momento in cui affermiamo la legalità dell’uccisione e dello sfruttamento.
Nella visione gerarchica che impronta le nostre scelte alimentari, l’unico obiettivo da raggiungere è il tornaconto dell’uomo e questo rende inevitabili l’aggressività e l’ingiustizia.
Così facendo perdiamo di vista la cooperazione, la solidarietà, la condivisione e la fratellanza (che pure auspichiamo, quasi fossero mete irraggiungibili) e coltiviamo interiormente la solitudine e la paura.
La cooperazione, la solidarietà, la condivisione e la fratellanza, però, diventano un’utopia nel momento in cui le censuriamo in noi stessi, soffocandone l’energia e dimenticandone l’importanza.
In questo modo ci incateniamo a uno stile di vita privo di valori umani e alimentiamo la violenza e lo sfruttamento, non solo verso le altre creature ma anche verso noi stessi.
Il nostro credo interiore e i principi che affermiamo, infatti, sono i pilastri su cui edifichiamo le relazioni e la società, le regole che danno forma al nostro modo di essere nel mondo.
Quando autorizziamo il predominio confermiamo una realtà fondata sul potere e sulla gerarchia, diventando carnefici ma anche vittime della prepotenza di chi detiene un potere maggiore del nostro.
È così che facciamo crescere l’arroganza e la competizione al posto della solidarietà e della condivisione.
Cibarsi della vita di un altro essere vivente non è un gesto senza conseguenze, ma un atto carico di implicazioni (spesso del tutto inconsce), di cui inevitabilmente subiamo le ripercussioni.
Nel mondo interno, infatti, un sapere profondo afferma il valore della reciprocità e rifiuta la prevaricazione, riconoscendone istintivamente l’ingiustizia e la crudeltà.
L’amore e la consapevolezza del bene e del male sono parti inscindibili della vita interiore e ci pongono, di momento in momento, davanti alla responsabilità delle scelte che compiamo.
Uccidere per il piacere del palato è un atto gravido di conseguenze, poiché sancisce nella psiche la legge del più forte, creando i presupposti dell’angoscia, dell’emarginazione e della sofferenza.
Viviamo in una civiltà basata sullo sfruttamento di pochi su molti e, spesso, ci sentiamo vittime di un potere ingiusto, senza fermarci mai a considerare quanto gli abusi che siamo costretti a subire siano la conseguenza dei nostri stessi gesti e valori interiori.
La sofferenza, la tortura e la morte di esseri innocenti lasciano un segno indelebile nell’anima, anche quando la rimozione cancella abilmente le tracce delle nostre responsabilità e la proiezione ne trasferisce all’esterno le cause, facendoci apparire privi di colpe e di potere.
L’inconscio conosce d’istinto l’importanza di ogni essere vivente.
Condannando a morte l’innocenza e la diversità degli altri animali, neghiamo a noi stessi il diritto alla vulnerabilità e rinneghiamo la nostra sensibilità e la nostra unicità, imprigionandoci dentro una esistenza di sofferenza.
La necessità di mangiare ci pone davanti alla scelta tra la vita e la morte, creando ogni giorno le basi del nostro futuro e, purtroppo, i presupposti di tante guerre.
Esistono cibi etici e cibi tossici, cibi che fanno bene all’anima e cibi che avvelenano la psiche rendendoci inconsapevolmente complici dei crimini del mondo.
Scegliere di non uccidere per vivere è un atto coraggioso e pone le fondamenta di una società basata sul rispetto e sull’accoglienza, dapprima della nostra verità profonda e poi di quella di ogni altro essere vivente.
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