Rinunciare alle cose che siamo abituati a mangiare normalmente fa venire i capelli dritti.
E provoca reazioni ostili e colme di rabbia.
“Allora dobbiamo vivere d’aria?! Che esagerazione! A che scopo privarci di tutte le cose buone? Tanto, in qualche modo si deve morire!”
L’alimentazione è un argomento pericoloso.
Andare a sollevare il velo che nasconde la dipendenza dal cibo non conviene, si rischia di suscitare reazioni incontrollate e forti antipatie.
Ognuno di noi coltiva in segreto la propria assuefazione alimentare e (come tutti i tossicodipendenti) non ama ammetterla né, tantomeno, parlarne, ma preferisce ignorarla, raccontando a se stesso e al mondo che può decidere di smettere quando vuole.
Proprio come per tutte le dipendenze, però, la realtà e molto diversa dalle percezioni soggettive (edulcorate dal bisogno inconscio di non sospendere l’assunzione delle sostanze tossiche) e rinunciare alla dose quotidiana di veleno provoca terribili crisi di astinenza, scatenando vissuti d’impotenza e fallimento che mettono a dura prova il sistema psichico e fisico.
Per questo cambiare modo di mangiare è un’impresa irta d’insidie.
A stomaco pieno o in fase di progettazione tutto sembra facile e realizzabile ma, quando si comincia a sospendere la somministrazione delle sostanze che fanno male, l’assuefazione fa sentire i suoi morsi e, se non si è strutturato un piano adeguato a contenere le crisi, ci si ritrova preda di una compulsione più grave e devastante di prima.
Una parte infantile, orale e dipendente, invoca i cibi che calmano la fame interiore, cercando negli alimenti l’abbandono e la sicurezza provati nei primi istanti di vita, quando il latte materno era ancora il tramite e la promessa della pienezza vissuta durante i nove mesi di gravidanza.
Più pesanti e difficili da digerire sono le pietanze che mangiamo e più inducono nel corpo e nella psiche quelle piacevoli sensazioni di rilassamento e spossatezza dovute allo spostamento dell’energia nello stomaco.
Questo stato di gradevole sonnolenza è associato alla fiducia e alla protezione sperimentata tra le braccia della mamma nei primi giorni di vita, e permette alla pressione emotiva di trovare un po’ di sollievo dallo stress degli impegni quotidiani.
Quando rinunciamo ai cibi tossici, l’energia e la vitalità conseguenti a un’alimentazione più sana ci rendono attivi e pronti ad affrontare con grinta anche le situazioni difficili, ma ci privano di quell’abbandono infantile, così attraente per le nostre parti bambine.
Ecco perché, nonostante l’aumentato benessere fisico e psichico, il cucciolo interiore protesta e fa di tutto per boicottare i nostri progetti.
Per guadagnarsi la sua collaborazione è indispensabile consolarlo e compensarlo, in modo da riuscire a portare avanti con successo il percorso di cambiamento.
La sicurezza (che le nostre parti infantili hanno indissolubilmente associato agli alimenti tossici) va spostata con gradualità verso altri cibi, progressivamente sempre meno nocivi, fino a costruire nella psiche e nel corpo un modo nuovo di nutrirsi, fondato su associazioni meno dannose e più sane.
Occorrono: tempo, pazienza e determinazione.
È indispensabile individuare delle sostituzioni intelligenti e gratificanti, in modo da soddisfare l’oralità del bambino interiore senza sconvolgerne l’equilibrio.
È un po’ come rimpiazzare la copertina di Linus con un’altra simile e, di volta in volta, sempre un po’ diversa… fino a creare una dipendenza nuova, altrettanto rassicurante ma, finalmente, salutare.
Dalla nostra abbiamo la collaborazione dell’organismo, che tende spontaneamente a ripristinare la salute grazie al consumo di cibi sani, semplici e naturali.
Contro, invece, abbiamo i dolori della disintossicazione, quelli che in gergo sono chiamate: crisi di astinenza e corrispondono al tentativo del corpo di liberarsi dalle sostanze tossiche, nel momento in cui si rende conto di non doverle più accumulare in continuazione.
Il processo di disintossicazione può essere molto fastidioso e doloroso.
È come fare le grandi pulizie in casa: significa tirare fuori tutta la spazzatura e cominciare a buttarla via.
Quando si stabiliscono abitudini alimentari più positive, dopo i primi momenti di benessere il fisico capisce che finalmente può ripristinare il suo naturale stato di salute, e comincia a rilasciare le tossine accumulate negli anni.
Questo processo di pulizia interiore fa parte di un cambiamento sano e auspicabile ma provoca fastidiosi sintomi di malessere che, quando non sono correttamente riconosciuti, portano a scoraggiarsi e ad abbandonare tutto.
“Sto sempre male! Non serve a niente!”
È la frase ricorrente che prelude alla ripresa delle cattive abitudini e a comportamenti spesso peggiori di prima, per superare la delusione e lo sconforto.
Cambiare l’alimentazione è un’impresa difficile che va seguita con attenzione e con cura meticolosa e costante, ma anche con creatività e inventiva per riuscire a trovare le soluzioni giuste di momento in momento.
Serve il supporto di una persona preparata ed esperta che ci aiuti a riconoscere le varie fasi del cambiamento, impedendo il dilagare della paura e della sfiducia.
Ma occorre anche la capacità di ascoltarsi profondamente per scoprire le radici emotive che annodano la dipendenza ai bisogni infantili impedendo il successo.
L’abilità sta nell’individuare di volta in volta quei cibi metadone necessari a lenire le inevitabili crisi di astinenza: alimenti ricchi di valore affettivo e capaci di sostituire la tossicità in modo progressivo, senza creare angosce al bambino, spaventato e vulnerabile, che vive nel nostro inconscio e che da lì condiziona le scelte di vita.
Col tempo queste sostituzioni condurranno in modo graduale al raggiungimento di un nuovo stile alimentare e formeranno abitudini più sane e rispettose dei bisogni del corpo.
Affrontare la tossicodipendenza alimentare e cambiare il proprio modo di nutrirsi è un percorso di crescita personale che può riuscire soltanto assumendosi totalmente la responsabilità della salute.
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