Succede spesso che le persone che abbiamo amato e non ci sono più, trovino nei sogni un’occasione per comunicare con noi, finalmente libere dalle censure della nostra mente razionale.
Il pensiero materialista non crede possa esistere qualcosa oltre ciò che si può toccare e lascia alle religioni il compito di raccontarci un aldilà in cui sarebbe possibile la permanenza dell’anima.
Tuttavia, la ragione fatica a credere per fede e i dogmi religiosi non soddisfano i perché dell’intelligenza.
Così sul tema della morte e della sopravvivenza ognuno coltiva le proprie convinzioni a dispetto sia della scienza sia della fede.
E, a volte, anche di se stesso.
Su un argomento tanto doloroso le contraddizioni sono all’ordine del giorno e, facendo il mio mestiere, capita spesso di incontrare atei che hanno paura dei fantasmi, cattolici che credono nella reincarnazione o buddisti che parlano con gli angeli.
La psicologia si colloca in una posizione diversa dalle ricerche in laboratorio, il lavoro con la coscienza è inevitabilmente privo di fisicità, ma non per questo è inesistente. Anzi!
Chi soffre di attacchi di panico sa quanto possano essere reali i pericoli invisibili e le cure fatte soltanto di parole.
L’immaterialità è il pane quotidiano di chi lavora con la psiche.
Tante persone arrivano in terapia travolte dal dolore per la morte di qualcuno che hanno amato.
Chiedono aiuto spaventate al pensiero di rifugiarsi in fantasie irreali e consolatorie ma incapaci di accettare l’idea che i loro cari siano dovuti uscire di scena per sempre.
In questi casi l’immaterialità subisce il disprezzo di una cultura che ha azzerato il valore dei sentimenti annullando l’interiorità.
Il mondo interno è uno spazio soggettivo e individuale che non si può standardizzare ne ripetere in laboratorio, ma è reale e pieno di vita!
Lo dimostrano il dolore o la gioia che proviamo nei momenti importanti della nostra esistenza.
La morte di una persona cara è un evento delicato e ricco di significato proprio perché conduce a esplorare dimensioni diverse dalla fisicità.
Denigrare l’immaterialità e la soggettività ci priva degli unici strumenti capaci di dare valore a una perdita altrimenti terribile e crudele.
Morire vuol dire entrare in una dimensione rarefatta che fa paura proprio perché nel corso della vita non le riconosciamo alcuna realtà.
Quando il corpo scompare ciò che resta esiste in uno spazio della coscienza privo delle coordinate materiali. Ma reale.
Da lì i nostri cari cercano di stabilire un contatto con quella parte di noi che è in grado di percepirne l’esistenza anche senza la corporeità.
È un contatto intimo ed emotivo fatto di sensazioni profonde e spesso prive di immagini o di parole.
È lo spazio dell’amore.
Lo conosciamo e ce lo permettiamo quando il corpo fisico ci aiuta a credere in una rassicurante materialità, e lo neghiamo quando invece la morte ci costringe ad ammetterne l’esistenza in assenza di riferimenti concreti.
L’amore oltrepassa la dimensione materiale e coinvolge aspetti della coscienza che sono soggettivi, emotivi e spirituali.
È un’energia che si estende oltre i limiti della fisicità.
Lo sanno gli innamorati, lo sanno le mamme, lo sanno gli animali… lo sanno tutti quelli che amano e hanno amato.
L’amore è qualcosa che si sente dentro e le parole faticano a spiegare perché non è fatto di parole. Si può soltanto viverlo.
Quando i nostri cari non hanno più il corpo, rimane soltanto l’affetto che abbiamo condiviso e bisogna imparare a muoversi in una dimensione priva di concretezza e di corporeità.
Uno spazio da cui cercano di raccontarci la loro verità.
Spesso la sofferenza che proviamo impedisce la comunicazione, bloccando l’energia affettiva dietro un muro di dolore e paura.
L’amore è l’antitesi del dolore e della paura.
Nei sogni la nostra mente finalmente si acquieta e, mentre il corpo recupera energie per affrontare la vita quotidiana, la parte affettiva della coscienza si libera del giogo imposto dal pensiero razionale e si muove leggera nelle dimensioni immateriali del sentimento.
In quegli spazi liberi dalle catene della logica prendono forma i sogni e avvengono gli incontri con le persone che non hanno più il corpo e che così possono finalmente parlare al nostro cuore.
Nei sogni ritroviamo chi ci ha lasciato e spesso viviamo la buffa sensazione di dovergli ricordare la morte.
“Ma tu sei morto…” diciamo increduli e preoccupati, permettendoci una conversazione che farebbe andare in bestia la ragione (se non dormisse).
“Lo so, lo so… ma io sto benissimo!” ci rassicura chi, pur senza avere un corpo, sente di essere se stesso e si riconosce in ciò che prova.
Sono dialoghi che avvengono in un linguaggio fatto di immagini, condensazioni e spostamenti, perciò non sempre è facile interpretarne il significato una volta tornati allo stato di veglia.
La ragione ha bisogno di tante rassicurazioni per credere che queste comunicazioni avvengano davvero, e quasi sempre un meccanismo di rimozione cancella i ricordi dei sogni impedendone una corretta interpretazione.
Ma nel corso dei colloqui psicologici, abbandonata la vergogna e la paura di essere derisi, le comunicazioni appaiono frequenti e ricorrenti, confermando quanto i nostri cari sentano il bisogno di rassicurarci sulla loro esistenza incorporea e sulla loro costante presenza.
Tante persone raccontano episodi in cui gli incontri sono possibili e pieni di gioia, una volta superata la dicotomia tra vita e morte che affligge il pensiero materialista.
Chi non ha più un corpo ha un amore senza confini e aspetta, al di fuori del tempo, il momento della nostra attenzione.
Amare è un modo di essere che attraversa la materialità senza appartenerle e, come un arcobaleno, rischiara il grigiore del dolore e della paura.
Nei sogni la logica mette da parte le sue pretese e cede il posto al cuore, l’unico luogo in cui sia possibile ritrovarsi.
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