Si dice che la pancia sia la sede delle emozioni, il luogo in cui ciò che proviamo nei confronti della vita si trasforma in sensazioni fisiche, fino a scolpire nel corpo i significati dei nostri stati d’animo.
Nei modi di dire la pancia racconta le emozioni, aiutandoci a comprenderle.
Così, diciamo che le cose, ma soprattutto le persone, ci piacciono di pancia, ci facciamo una pancia di rabbia, abbiamo le farfalle nello stomaco, ci mangiamo il fegato dal nervoso, eccetera.
La psicologia legge nel fisico i segni dei vissuti interiori e individua nella pancia uno spazio segreto dove rinchiudiamo i sentimenti giudicati pericolosi.
Una pancia esageratamente grande trattiene troppe emozioni e segnala la paura di rivelare il proprio mondo interno.
Una pancia piatta indica un rapporto equilibrato con la vita interiore.
Una pancia eccessivamente risucchiata racconta la paura di stare al mondo e il tentativo di sfuggire in luoghi più rarefatti e immateriali.
Psicologi e medici sono concordi nell’affermare che spesso le chiavi dello stress si nascondono nella pancia e che le condizioni di salute del nostro sistema gastrointestinale si riflettono sulle percezioni psichiche tanto quanto le nostre emozioni condizionano la digestione e l’assimilazione dei nutrienti.
La pancia insomma è una sorta di secondo cervello, capace di farci sentire bene o male, realizzati o insoddisfatti, entusiasti o infelici.
Gli stati d’animo che proviamo dipendono dal nostro modo di interpretare la realtà e questo a sua volta dipende dalla qualità della digestione e dalle condizioni di salute della nostra pancia.
Riempirsi la bocca di cibo spazzatura avvelena l’organismo e si ripercuote inevitabilmente sui pensieri, ma è vero anche il contrario: i pensieri carichi di malessere si accumulano nella pancia, colmandola di sofferenza e di rifiuti.
Infatti, la pancia controlla il benessere psicofisico, non solo in conseguenza del cibo che ingeriamo ma anche di quello che pensiamo.
Esiste una relazione diretta tra la pancia e i sentimenti.
Ciò che proviamo si riflette inevitabilmente sui nostri organi, soprattutto nelle viscere, determinando la qualità delle esperienze e della digestione, alimentare e psichica.
La colite, l’ulcera, i bruciori di stomaco… sono spesso patologie causate dallo stress, cioè da emozioni non digerite che alterano il pH intestinale e compromettono la vitalità dei batteri che si trovano al suo interno, generando un pericoloso stato di… acidità.
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INGHIOTTIRE LE PROPRIE PAURE
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Salvatore per lavoro ha dovuto trasferirsi da Cagliari a Nuoro.
Si tratta di una trasferta che durerà soltanto dieci mesi.
Tuttavia, la solitudine gli morsica il cuore e il lavoro non basta a fargli sopportare la nostalgia di casa.
In aggiunta al suo sconforto da quando è arrivato a Nuoro soffre di colite ulcerosa.
Per curarsi Salvatore tenta ogni genere di dieta ma è tutto inutile: il suo intestino sanguina senza sosta e senza miglioramenti.
Ha provato con i farmaci, con l’omeopatia, con il rilassamento e persino con la magia!
Niente.
Nessun risultato.
Quando infine rientra a casa, però, allo scadere di quei dieci mesi, la colite misteriosamente sparisce.
* * *
Adriana non ne può più delle pretese di suo marito, Alfredo.
Non sopporta la sua indolenza, il suo disordine, la sua arroganza, la sua prepotenza e il suo maschilismo.
Ogni giorno gli fa notare le cose che a lei non vanno bene, ma lui la guarda con malcelata superiorità e continua imperterrito negli atteggiamenti di sempre.
Non serve arrabbiarsi e non serve litigare, Adriana può solo inghiottire il suo malumore.
O andarsene.
Incapace di affrontare una separazione a settant’anni, la donna annichilisce la ribellione fino a sputare sangue.
Letteralmente.
Le corse in ospedale, i ricoveri, la prognosi incerta… ammutoliscono la prosopopea di Alfredo.
Tuttavia è una quiete che dura poco.
Rientrati a casa tutto ricomincia come sempre.
Sospesa tra la vita e la morte, Adriana, però, sceglie la vita.
E inspiegabilmente l’ulcera migliora… quando finalmente decide di non tornare più a vivere con Alfredo.
* * *
Margherita ha accettato di trasferirsi da Roma a Cagliari per seguire il marito, Roberto, che ha ottenuto una grossa promozione.
Appena arrivata in Sardegna, però, la mancanza degli amici e dei familiari si fa sentire e la donna si ritrova sola, in una città sconosciuta e priva di punti di riferimento affettivi.
Vorrebbe tornare nella sua città ma l’amore e la mancanza di un lavoro la obbligano a restare.
Margherita si sente in trappola: troppo arrabbiata per condividere i suoi sentimenti (che giudica inadeguati e distruttivi) si fa forza fingendo la serenità anche quando non le appartiene.
Ben presto il suo rimuginare solitario e addolorato si somatizza, e una terribile gastrite la costringe a seguire una dieta rigidissima.
I medici si danno un gran daffare per fermare il sanguinamento dei suoi organi interni, ma tutte le cure sembrano inefficaci.
Solo l’intervento di uno psicologo la aiuterà, col tempo, a esprimere quel dolore negato e a trovare finalmente le risorse necessarie a rimarginare la sua ferita interiore.
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