Quando nasce il primo fratellino, il figlio più grande perde il suo ruolo di figlio unico e si trova costretto a condividere le attenzioni di mamma e papà (ma anche di nonni, zie, cugini, amici, ecc.) con il nuovo arrivato.
Non sempre questo passaggio è vissuto con facilità … più il bambino è piccolo più la mancanza di centralità è sentita come una perdita o come un abbandono da parte dei genitori, e scatena i drammi dell’antagonismo e della gelosia.
Durante tutto il primo anno di vita ogni bambino ha bisogno di sentirsi unico e centrale nel cuore dei genitori, soprattutto della mamma.
Infatti, dopo il parto, il neonato continua ancora a vivere se stesso insieme al corpo materno, e percepisce sé e la madre come un tutto.
È solo molto lentamente e progressivamente che questo stato fusionale si affievolisce lasciando che la comunicazione sostituisca la simbiosi e si strutturi il linguaggio.
I bambini molto piccoli interpretano la gravidanza della mamma e la nascita di un altro bambino, come un abbandono ineluttabile, un tradimento che la vita impone loro e contro il quale non è possibile ribellarsi.
Intorno ai quattro o cinque anni, invece, la protesta e la gelosia sono espresse con maggiore disinvoltura e vivacità.
Di solito è solo quando la differenza di età tra i due fratelli supera i sette anni che il bisogno di essere al centro della scena familiare cede il posto al desiderio d’indipendenza e di autonomia e il nuovo nato può essere accolto senza drammi e senza paure.
Prima dei sette anni, la gelosia verso il fratello minore è inevitabile e può lasciare qualche cicatrice nel mondo interiore.
È vero che, spesso, sono proprio i bambini a chiedere con insistenza di avere un fratellino o una sorellina.
Tuttavia, il più delle volte questa richiesta esprime il desiderio di un compagno di giochi, qualcuno con cui condividere il divertimento e la scoperta del mondo ma non l’affetto, le attenzioni e le cure dei genitori.
Così, quando poi la mamma e il papà tornano a casa stringendo tra le braccia un fagottino tenero e fragile… con cui non è possibile giocare, che non sa parlare, non sa camminare, si fa addosso… e monopolizzare le attenzioni di tutti…be’…la reazione del figlio maggiore è sempre di profonda delusione.
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“Com’è possibile che questo piccolo incapace susciti tanta eccitazione e tanto amore?!”
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È la domanda che attraversa la mente del primogenito come una dolorosa saetta.
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“Devo essere brutto e poco interessante, se mamma e papà hanno voluto lui nonostante ci fossi già io.”
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Su queste considerazioni, molto viscerali e poco razionali, prende forma il vissuto di rabbia, inadeguatezza e indegnità che accompagna l’arrivo di un fratellino.
Molti bambini esprimono chiaramente il desiderio di rimandare al mittente il nuovo venuto.
Altri censurano la propria ostilità dietro un comportamento compiacente, nel tentativo di non deludere ulteriormente i genitori.
Altri ancora imitano il fratello più piccolo, mettendo in atto comportamenti regressivi e rinunciando alle acquisizioni maturate con la crescita.
Ognuno cerca a modo suo di far fronte alla sgradevole sensazione di essere insufficiente per i propri genitori.
La nascita del fratellino è sempre un momento delicato in cui i bambini devono affrontare l’ansia di essere rifiutati, nonostante le attenzioni che i genitori dedicano loro.
Più sono piccoli e più le paure sono grandi e difficili da gestire, perché la razionalità non si è ancora strutturata e i vissuti emotivi occupano la scena psichica con molta intensità.
Per evitare i traumi è importante che i bambini siano preparati al nuovo arrivo e coinvolti in prima persona nelle vicende della famiglia, in modo da limitare l’angoscia di essere dimenticati e messi in disparte.
Non si deve però minimizzare l’inquietudine abbandonica che i piccoli sperimentano (inevitabilmente) nel momento in cui perdono la loro unicità.
Occorre prestare ascolto alle proteste e alle paure e permetterne l’espressione senza dare giudizi.
Questo non significa lasciare il figlio piccolo pericolosamente in balia di un fratello maggiore geloso.
Vuol dire, invece, permettere ai sentimenti di esistere (senza essere censurati) e di venire ascoltati nonostante la loro sgradevolezza.
Una buona alfabetizzazione emotiva prevede l’accoglienza anche delle emozioni malfamate (rabbia, odio, invidia, gelosia, ecc.) che così evaporano spontaneamente anziché ribollire nell’inconscio.
Quando le emozioni possono essere riconosciute e nominate perdono la loro pericolosità e diventa possibile individuare i modi per disinnescarle senza fare danni.
Il disegno, la drammatizzazione con i pupazzi, il racconto, il gioco dei ruoli… sono tutti modi che aiutano i bambini a gestire gli stati d’animo negativi insegnando loro a comprenderli e superarli senza reprimerli.
Tutte le emozioni contengono un’energia indispensabile alla crescita e alla realizzazione personale, per questo nessuna andrebbe censurata (nota bene: comprendere e accettare non vuol dire agire).
La possibilità di condividere le emozioni negative senza fare danni, è il primo passo verso un mondo capace di superare il razzismo e la violenza.
Quando ricacciamo nell’inconscio gli stati d’animo che giudichiamo sconvenienti, blocchiamo il percorso di crescita impedendo a noi stessi di affrontarli e superarli, e rinchiudiamo le potenzialità espressive dentro una prigione di divieti.
Quando invece ci è data la possibilità di condividerli scopriamo che proprio i nostri difetti sono i passi che ci conducono a diventare migliori e costruiamo le fondamenta della convivenza e della fratellanza.
L’arrivo di un fratellino costringe i bambini a cimentarsi con la condivisione di ciò che hanno di più caro (l’amore dei genitori), per questo è un momento irto di difficoltà e di paure.
Un momento che impegna i genitori e i bambini, e pone le basi della fraternità, della solidarietà e dell’amicizia.
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