L’odore del pesce fritto evoca sempre in me una nostalgia struggente. Qualcosa che scalda il cuore e mi fa sentire improvvisamente in pace…
Camminavamo in silenzio sulla sabbia tenendoci per mano nell’aria calda e umida della sera.
Ricordo il profumo salmastro delle alghe e i colori scuri della notte che lentamente avvolgevano il sole nel loro abbraccio quieto.
E quella tua presenza così naturale, quella nostra consuetudine del pesce…
La trattoria era proprio a ridosso della spiaggia, con i muretti di cemento ancora caldi dal sole e i tavolini all’aperto sotto la tettoia di canne.
Andavamo spesso lì a mangiare il pesce. Era una tradizione nostra. Intima, rassicurante e quasi quotidiana. Un modo per stare insieme e scambiarci le emozioni della giornata.
Ma perché ci andavo? E con chi ero? Chi tenevo per mano? Chi era quella presenza così familiare?
Per quanti sforzi faccia, non riesco a ricordarlo.
La scena s’interrompe sempre su quel frammento così preciso ma anche così incompleto.
Niente altro. Buio. Come se avessi perso la memoria. Come se fossi devastato da una mutilazione al cervello.
Eppure… il ricordo si accende immancabilmente ogni volta che fiuto l’aroma della frittura di pesce.
È un ricordo dolce e pieno d’amore che io purtroppo non ho mai vissuto.
(Sono vegetariano da quando ero bambino e non mangio il pesce)
Ma è così intimo che riesce sempre a emozionarmi.
Alessandro
* * *
Dopo la laurea, Francesca ha programmato una vacanza di dieci giorni a New York.
All’ultimo momento, però, l’amica con cui aveva organizzato il viaggio ha un imprevisto e non può più partire con lei.
Francesca non se la sente di rimandare tutto.
Dieci giorni da sola in una città sconosciuta le fanno un po’ paura ma decide di partire ugualmente e di vivere quell’avventura.
Non è mai stata a New York e l’emozione è grande!
Appena scesa dall’aereo si sente improvvisamente a casa. Ogni cosa le è familiare. Odori, rumori, colori… tutto. Ricorda strade, negozi, nomi e scorciatoie.
Incuriosita, si lascia pian piano guidare da quella strana consapevolezza e, senza chiedere informazioni a nessuno, trova d’istinto tutto ciò che le serve: oggetti, monumenti, mezzi di trasporto, punti ristoro, divertimenti, parchi, centri commerciali…
Ogni cosa le venga in mente ha la sua risposta in quel “già vissuto” che a New York l’accompagna dappertutto facendola sentire straordinariamente diversa. Disinvolta, sicura, propositiva e… a suo agio.
In un angolo di sé, Francesca si osserva e non si riconosce.
L’indecisione e la timidezza di sempre sono scomparse cedendo il posto a una personalità nuova, più intraprendente e sicura.
Dieci giorni che scappano via in un nanosecondo e che le sembrano una vita intera.
Rientra a casa emozionata e confusa, abbandonando a malincuore quella che ormai chiama affettuosamente “la mia città”.
Come in un sogno, sul volo di ritorno la personalità newyorkese cede il posto alla ragazza di sempre (avventurosa e dinamica ma anche timida e riservata) che porta a casa una valigia piena di regalini e conserva nel cuore il ricordo di quell’altra se stessa così incredibilmente diversa da lei.
* * *
Non so perché ma i bambini che si esibiscono sul palcoscenico mi fanno provare qualcosa di lacerante e… terribile.
Talmente doloroso che comincio a piangere senza riuscire più a fermarmi.
Quando mia figlia era piccolina pensavo fosse la commozione nel vederla recitare a scuola o ballare ai saggi di danza.
Ma l’altro giorno sono entrata per caso in un centro commerciale proprio mentre un gruppo di bambini si esibiva in una performance di tango.
Erano così carini, tutti con i costumi di lamé, colorati e carichi di lustrini, che mi sono avvicinata a curiosare un po’ ma… è stato impossibile.
Ho dovuto allontanarmi in tutta fretta per nascondere le lacrime che mi scorrevano sul viso come un fiume in piena.
E lo stesso mi è successo a teatro, qualche mese fa, quando sono entrati in scena alcuni giovanissimi attori che certamente avevano meno di dieci anni.
La loro parte era festosa e allegra e non sarà durata più di dieci minuti. Ma a me è sembrata un’eternità. Non riuscivo a fermare i singhiozzi.
Più mi sforzo di controllarmi e peggio è!
Allora cerco di farmene una ragione e di ricordare da cosa e quando abbia avuto origine tutto questo dolore, ma camminando all’indietro con la memoria non trovo nulla. Nessun indizio per una reazione tanto esagerata e inopportuna.
È qualcosa di triste e mostruoso insieme… qualcosa che non ricordo, che non mi appartiene e che inevitabilmente mi provoca il pianto.
Marina
* * *
Alcune persone hanno ricordi che non fanno parte delle esperienze di questa vita.
Sono avvenimenti che non potremmo ricordare perché non li abbiamo vissuti nello stato di coscienza con cui li riviviamo oggi e che ci appaiono sotto forma di emozioni o di immagini frammentarie, slegate da ciò che stiamo vivendo in quel momento.
Sono ricordi che segnalano un movimento della coscienza su piani diversi della sua infinita realtà.
La nostra identità è limitata alle poche esperienze che la ragione considera “reali”.
Tutto il resto è censurato e nascosto nell’inconscio, per non turbare l’idea che ci siamo costruiti di noi stessi e della vita.
Tuttavia la coscienza è qualcosa di molto più ampio di quanto la logica sia disposta ad ammettere.
La coscienza è l’insieme di tutte le realtà possibili.
(Quelle logiche e quelle che la logica non può processare)
Si è tanto parlato di vite precedenti… vite che abbiamo già vissuto con un corpo e un’identità differente da quella di adesso, in cui abbiamo sperimentato situazioni e stati d’animo diversi.
Le vite precedenti sono esperienze che appartengono alla coscienza ma non al corpo e all’identità con cui ci identifichiamo abitualmente.
Ma cos’è la coscienza?
Siamo parte di un tutto più grande, chiamato coscienza, che trascende i limiti del corpo e dell’identità di ciascuno e si frammenta in infiniti altri corpi e identità per fare esperienze circoscritte della sua totalità.
La frase mistica “Tutto è uno.” esprime questo concetto.
Ma nel mondo della logica le cose sono finite e l’infinito è troppo espanso e privo di limiti per poter essere compreso, valutato e considerato nelle esperienze che viviamo abitualmente.
Per questo esiste un grande calderone chiamato inconscio dove archiviamo tutte le cose che la ragione non riesce a spiegare.
L’inconscio e la coscienza probabilmente sono la stessa cosa.
Solo che uno per definizione non lo si può conoscere. È appunto: inconscio.
Mentre l’altra la si può almeno tentare di esplorare. È coscienza… quindi potenzialmente consapevole.
Possiamo avere ricordi che non ricordiamo di avere mai vissuto perché non ne abbiamo fatto esperienza con questo corpo e con questa identità.
Quando permettiamo a noi stessi di essere di più del nostro corpo e della nostra identità, possiamo ammettere di avere delle consapevolezze vissute in corpi diversi e con identità diverse da quelle attuali, ma non per questo meno reali.
Poiché gli effetti di queste esperienze si possono sperimentare con il corpo e con l’identità di adesso, quei ricordi (vissuti con corpi diversi e identità diverse) possono essere ritenuti reali.
Il tempo ingarbuglia le cose, però.
Infatti, se li ricordo adesso, ma non li ho mai vissuti, come fanno a essere ricordi?
In quale tempo ne avrei fatto esperienza?
In un tempo successo prima, in cui io ero io ma non ero ancora nato?
Queste domande sono mal poste e perciò non trovano risposte adeguate.
Il tempo non è qualcosa che esiste a prescindere dalla coscienza che lo sperimenta.
Il tempo è uno stratagemma della coscienza che permette di frammentare la totalità in una sequenza.
Dentro quella sequenza io nasco, vivo e muoio.
Fuori da quella sequenza, io sono nato, vivo e morto contemporaneamente.
Perché senza il tempo, tutto semplicemente è.
(Tutto-insieme-in-un-eterno-adesso)
E in quell’eterno adesso ci sono altre esperienze che interferiscono col mio mondo interiore e che permettono ai ricordi di prender forma nel corpo e con l’identità che ho ora (e che chiamo “la mia vita attuale” per distinguerla dalla totalità della coscienza e delle infinite vite che le appartengono).
Quei ricordi che ogni tanto fanno inspiegabilmente capolino nella nostra realtà ci segnalano una identità più grande e più articolata e arricchiscono la nostra esperienza di vissuti diversi.
Vissuti che meritano un’esplorazione più approfondita e un’integrazione nella vita attuale perché intrecciano l’esperienza corrente con la loro carica emotiva.
Recuperare le storie e i traumi di altre vite serve a illuminare la nostra esistenza presente e permette di sciogliere i traumi che ancora interferiscono con la crescita interiore e con lo sviluppo della nostra identità.
Siamo tutti parte di un’unica infinita coscienza che srotola se stessa in tante vite per dare forma alla sua molteplicità.
Comprendere l’irrazionale nella nostra esperienza ci porta a contatto con una saggezza profonda e permette al mondo interiore di dispiegare tutta la sua poliedrica verità.
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