“DOTTORE… COS’E’ LA NORMALITA’?” risponde il dr. Fabrizio Boninu

Ciao Fabrizio, potresti spiegare in parole semplici che cos’è per te la normalità?

Per me normalità è… un sostantivo femminile. Questo forse può dare la misura di quanto abbia difficoltà a definire una categoria così ampia. A parte la battuta, credo che la normalità sia quella categoria mediante la quale le persone giudicano le altre. La normalità è il paravento dietro al quale spesso ci si nasconde dalla fatica e l’impegno di coltivarsi, di accettare di essere unici. Può anche essere la linea di demarcazione mediante la quale si stabilisce chi è sano e chi no e questa è una china molto pericolosa, che è stato difficile estirpare per varie categorie. Ovviamente, nel caso della salute mentale, c’è un concetto di normalità ma, a parte alcuni casi manifesti, è un concetto che non può essere applicato ad un gran numero di persone. La maggior parte di noi è sanamente insana, normalmente anomala. Più faccio questo mestiere più mi rendo conto che ognuno di noi è un vero e proprio piccolo mondo con le sue regole, i suoi funzionamenti, i suoi vissuti e che sarebbe veramente un peccato perdere tutto questo per cercare di inseguire ed arrivare al malsano obiettivo di parificazione e di normalità, dal momento che questo termine, come dicevo, non designa nulla che non sia ascrivibile alla singola persona. Normale, per me, è una persona che cerca di conoscersi, che si stima, si accetta com’è e rispetta la sua storia di vita.


Nel corso del tuo lavoro capita che le persone chiedano di essere aiutate a essere normali?

Nel lavoro capita spesso di parlare con persone che non si sentono normali, che hanno paura di sentirsi e di essere considerate strane, non comuni, non a posto. Credo ci troviamo in un contesto sociale in cui si vorrebbe che ci considerassimo unici e diversi l’uno dall’altro, ma che in realtà spinge al conformismo e alla stereotipia. Da un lato la nostra unicità, la nostra diversità dagli altri, il nostro essere ‘speciali’, il nostro essere naturalmente diversi. Dall’altro, invece, qualunque tipo di anticonformismo non “approvato” sembra suscitare la riprovazione sociale. La paura più forte è quella di essere etichettati come non normali, come singolari nel senso più negativo del termine come se si potesse essere fuori dalle regole di funzionamento di tutti gli altri. E che a questo non ci sia rimedio. Il mio lavoro credo consista, invece, nel dare un significato alla storia personale di ciascuno, nel poter accogliere il senso di ciò che si è, comprendendo quanto sia stato esclusivo e personale diventare ciò che siamo.

Quando incontri un paziente per la prima volta, valuti se è normale oppure cosa osservi?

No, sinceramente posso dire di non aver mai pensato a qualcuno in studio come normale oppure no. Per quanto sembrasse strano quello che faceva oppure che diceva, per me quello che la persona fa o dice è normale, nel senso di dotato di significato per la persona stessa. Posso solo rispettarla e cercare di comprenderla. Molte delle scelte di vita delle persone che incontro sono dettate dal dolore, dalla paura, dalla discrasia di voler essere in un modo ma di sentire di essere altro. Intuire questa sofferenza mi rende particolarmente attento al rispetto e alla vicinanza con l’altro. In realtà più che valutare se sia normale o no cerco di chiarire con chi ho di fronte quanto alcune scelte siano specificamente sue e che non dovrebbe averne paura. Spesso le persone che si rivolgono a noi psicologi hanno paura che possano essere diagnosticate come a-normali, squinternate e che le loro scelte di vita non siano sane. Cerco di osservare in cosa le scelte di vita dell’altro siano dettate da quelli che sono i desideri della persona oppure se sono dettati da bisogni di conformismo. La persona è libera di fare determinate scelte? O si comporta così perché quello è il comportamento che gli altri si aspettano da lei? E, se non è libera, è consapevole di essere all’interno di una gabbia che in qualche modo lo costringe a sembrare ciò che non sente di essere? Ed è consapevole di quanto le costi questa scelta? Queste sono, nel mio lavoro, le domande che mi faccio. Non se sia normale.

Secondo te cosa si nasconde dietro al bisogno di sentirsi normali e perché l’anormalità fa tanta paura?

Credo che dietro si celi la paura. L’idea di essere normali è molto rassicurante perché fa sentire le persone a posto, le colloca nell’alveo della maggioranza, nel gruppo più numeroso. Ognuno cerca di coltivare allora l’illusione di essere uguale agli altri per non staccarsene, e questo è molto protettivo perché costringe a non fare i conti con la propria individualità, termine che spesso viene confuso con solitudine. Data questa confusione, e la paura di essere soli, le persone fanno e accettano di tutto pur di non essere o sentirsi escluse. Questo, come dicevo, porta anche a tradirsi, a nascondere parti di sé che si sentono non accettate socialmente o riprovate dagli altri. Questa contrapposizione tra come si È e come ci si DEVE mostrare alla lunga è molto dispendiosa e può sfociare in una serie di disturbi, di inconvenienti che possono sfociare nella vera e propria patologia. Si chiude una sorta di circolo nel modo più paradossale possibile: finiamo con l’ammalarci proprio per la paura di non essere sani!.

Credi che sia possibile essere normali ed essere se stessi?

Non solo lo credo, ma credo anche che debba essere la meta. Penso sia possibile essere normali ed essere se stessi. Anzi, credo proprio che sia un obiettivo quello di poter essere considerati normali ed essere considerati se stessi, cioè unici e non omologati.

È possibile ma non credo sia facile. La scelta di essere se stessi è una scelta che, in una società nella quale vince il conformismo e le spinte in quella direzione, può provocare delle sofferenze. Questo mi porta a pensare che per essere se stessi sia necessario essere supportati, essere aiutati a capire le potenzialità insite nel nostro essere normalmente diversi dagli altri. È nella diversità, non nel conformismo, che emergono le spinte al cambiamento, all’evoluzione.

Credi che l’amore possa essere normale?

L’amore è la dimensione dell’uomo nel quale l’essere normale ha, forse, meno senso. Data la sua scelta esclusivamente personale, non ha senso, credo parlare di normalità o anormalità, fatto salvo, ovviamente, il rispetto per l’altro. Invece dobbiamo scontrarci ogni giorno con ‘esperti’ che pretendono di tracciare una demarcazioni tra ciò che in amore è normale e ciò che invece non lo è. L’amore è uno dei contesti più anormali e potenzialmente rivoluzionari nella vita ed è per questo che, e non è un caso, la spinta normalizzatrice è stata più forte durante tutta la storia dell’uomo con giustificazioni religiose, dogmi sociali, riprovazione e così via. E sono, questi, aspetti che hanno pesato e che tuttora gravano tanto nelle scelte di vita delle persone.

Abbiamo parlato di normalità in termini teorici e riferendoci al nostro lavoro. Vorrei terminare questa intervista con una domanda più personale…tu ritieni di essere normale?

Come detto, il mio desiderio sarebbe rendere consapevole la persona che mi si siede davanti di quanto la sua paura di essere anormale sia la paura di essere unica. Credo che debba essere questa la nuova normalità: accettare l’unicità dell’altro. In questo senso sono normale: coltivo la mia singolarità, le cose che mi caratterizzano, quelle che mi spaventano, tutte quelle cose che, combinate assieme fanno di me stesso una persona unica. Naturalmente neanche per me è, o è stato, facile. Darci ascolto, apprezzarci, accoglierci, è una scelta semplice quando parliamo di caratteristiche socialmente accettate o riconosciute mentre è molto impegnativa per scelte che non sono accettate socialmente. Per esempio io sono molto sensibile. Non è considerato normale per un uomo essere molto sensibile. Se questo aspetto di me mi ha fatto soffrire (perché devo essere così? Perché questo provoca un ‘richiamo’ sociale?), è forse grazie all’accettazione di questo aspetto, individuato ed accolto, che oggi sono qua ad esercitare il mestiere che ho sempre pensato di fare.

Tornando alla domanda: sono normale? Non so. Forse sto iniziando a scegliere di essere unico.

Fabrizio Boninu

psicologo, psicoterapeuta, blogger

Lo Psicologo Virtuale

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