Francesca ha soltanto sei anni quando sua madre muore improvvisamente.
Quella mattina la mamma le ha sistemato i capelli, le ha messo lo zainetto sulle spalle, le ha dato un bacio e Francesca è corsa a scuola, insieme al papà.
Quando rientra all’una, niente è più come prima.
Dappertutto regna un’atmosfera caotica.
La mamma non c’è, il pranzo non è pronto, le cose sono in disordine.
Dentro casa c’è tanta gente.
Parenti e persone che Francesca non ha mai visto prima.
Parlano tutti concitatamente, agitati e nervosi.
“Cos’è successo?” chiede preoccupata “dov’è la mamma?”
Ma nessuno le presta attenzione, e chi lo fa non riesce a raccontarle la verità.
“È partita. È dovuta andar via, improvvisamente…”.
Risposte evasive.
“Ma come… ?!” la piccola protesta arrabbiata “Senza salutarmi?”
“È dovuta partire di corsa, non ha fatto a tempo. Capirai quando sarai più grande…”
La bambina sente la rabbia montarle dentro insieme a un dolore acuto.
La mamma se n’è andata senza dirle una parola.
Come ha potuto!
Odio e disperazione divampano nel cuore.
Per tanto tempo.
Nei giorni successivi, Francesca si sente ferita e sempre più arrabbiata.
Pensieri cupi girano nella testa.
“Mamma cattiva. Mamma maledetta. Perché sei partita senza dirmi niente? Non ti vorrò più bene. Non ti crederò mai più.”
Finalmente, la nonna trova il coraggio per la verità.
“Bambina mia, la tua mamma è morta. Non tornerà più. Il Signore l’ha chiamata in cielo con lui. L’ha scelta perché era brava e buona. Non devi piangere.”
Un unico pensiero come una fucilata: “Non mi ha dimenticata… è morta.”
Francesca è pietrificata.
“L’ho odiata… e invece lei era morta. Perché nessuno me l’ha detto?”
Le emozioni si annodano e il cuore sembra rompersi in due.
“Devo essere una bambina molto brutta” rimugina tra sé “Sono fatta male. Anche Dio non mi ha voluto. Ha chiamato la mamma. Senza di me.”
La rabbia e il dolore si trasformano in odio verso se stessa.
Francesca si sente cattiva.
Sbagliata.
Colpevole.
Per aver maledetto la mamma senza ragione.
Ancora oggi, a trentacinque anni, mi racconta la sua storia piena di vergogna e di dolore.
* * *
Valentina ha quarantasei anni e una notte si sveglia in preda a un incubo.
Nel sogno, un uomo violenta una bambina molto piccola.
Sente un dolore terribile.
Poi la mamma la medica.
La medica ogni giorno.
Per tanti giorni.
Fino a che non passa tutto.
Rimane solo una piccola cicatrice.
Inspiegabile.
È in un punto nascosto del corpo.
Non la può vedere nessuno.
“Che cos’ho, mamma? Guardami…” la bimba è preoccupata, ha imparato da poco a lavarsi da sola.
“Niente, tesoro. Non è niente, non pensarci. Tu sei fatta così. È un segnetto che hai dalla nascita. Sei nata così…”
La mamma la rassicura.
Valentina è tutta sudata.
Sente il cuore battere all’impazzata.
Ha un cerchio alla testa.
Vorrebbe correre in bagno a vomitare ma è come paralizzata nel letto.
Di colpo, una certezza!
Non è stato un sogno.
I ricordi si affacciano alla coscienza.
“Sono io quella bambina! Sono io. Sono io. Sono io. Sono io.”
Valentina vorrebbe non essersi mai svegliata.
“Perché non me l’hanno detto? Siamo tanti in famiglia. Lo sapevano tutti. Perché mi hanno lasciato credere a una malformazione. Si sapeva che era una cicatrice. Tutti i medici me l’hanno sempre fatto notare…”
Troppa vergogna oggi per chiedere spiegazioni.
Troppo dolore per poterne parlare ancora.
“Non è la violenza che ho subito…” racconta con tristezza “Mi uccide soprattutto il silenzio carico di colpa in cui sono cresciuta. C’era sempre qualcosa di sbagliato e di sporco intorno a me. Lo sentivo addosso come una maledizione.”
* * *
Marcello ha sette anni ed è completamente calvo.
I suoi genitori chiedono una consulenza psicologica perché da qualche tempo, il bambino ha perso inspiegabilmente tutti i capelli e sembra che non vogliano ricrescere più.
Prima di approdare nello studio di uno psicologo Marcello ha fatto ogni tipo di analisi e di controllo ma nel suo organismo tutto risulta a posto.
Ogni organo, ogni fibra funziona perfettamente e i dottori non sono riusciti a trovare una ragione per quell’inspiegabile calvizie.
Se dal punto di vista medico non emerge niente il quadro psicologico, invece, evidenzia un disagio abbastanza grave.
I test indicano che il bambino vive in una costante insicurezza e dietro la sua apparente imperturbabilità nasconde uno stato di angoscia cronica.
Marcello ha una storia familiare particolare.
I suoi genitori si sono separati quando aveva soltanto tre anni.
La separazione però gli è stata completamente nascosta.
Nel tentativo disperato di non farlo soffrire mamma e papà hanno deciso di continuare a vivere insieme come se fossero ancora una coppia.
Entrambi hanno una vita privata al di fuori delle mura domestiche ma davanti al bambino non lasciano trasparire niente e si comportano come se fossero sempre marito e moglie.
Marcello sente che qualcosa non funziona… però gli atteggiamenti dei genitori disconfermano costantemente le sue percezioni interiori… così ha imparato a non farsi domande e a credere soltanto a ciò che appare.
Ignorando le proprie intuizioni anche lui come i grandi partecipa la gioco della famiglia, solo il suo corpo non si piega al Truman Show e la disperazione, censurata e rimossa lancia un segnale d’aiuto con quella sua testolina glabra, priva di capelli come di pensieri tristi.
* * *
Francesca, Valentina e Marcello.
Tre storie diverse accomunate dal tema delle bugie.
Bugie che i grandi dicono ai piccoli.
Bugie inventate a fin di bene, raccontate per non far soffrire i bambini.
Bugie che, purtroppo, aggiungono dolore al dolore.
I bambini non vivono in un mondo dorato fatto solamente di fantasia, percorrono la vita con le sue spine e con le sue dolcezze.
Non serve imbrogliarli per non farli soffrire.
Ciò che li aiuta è condividere insieme la sofferenza quando s’incontra inevitabilmente.
È una necessità degli adulti, idealizzare l’infanzia e ricordarla come il paradiso dell’innocenza e dell’irresponsabilità.
Il processo della crescita non s’interrompe mai e attraversa momenti belli e momenti bui a tutte le età, dalla nascita fino alla morte.
Per questo bisogna essere sempre sinceri con chi è piccolo, trovando le parole per spiegare anche le verità più complesse.
La mente, nell’infanzia, non si è ancora formata l’esperienza per decodificare la realtà ma il cuore dei bambini sa anche quello che gli occhi non vedono e la ragione ancora non comprende.
Tutto ciò che sentiamo e viviamo resta impresso nell’anima senza potersi cancellare mai.
Lo portiamo con noi.
Per tutta la vita.
Se vogliamo costruire un mondo che sia veramente a misura dei bambini, dobbiamo imparare ad ascoltare le emozioni e dare voce al cuore, trovando le parole adatte per spiegare la verità.
Questa è la più potente medicina che ci sia.
Risolve i sensi di colpa, ridona la fiducia e fa crescere i capelli.
È indispensabile per diventare grandi.
Il cuore non è mai normale.
È vero.
Carla Sale Musio
La personalità creativa
Scoprire la creatività in se stessi per trasformare la vita
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