Quando muore qualcuno che amiamo il dolore ci sommerge e la perdita ottunde qualsiasi altra sensazione.
In quei momenti la morte intesa come fine di tutto prevale e annichilisce ogni esperienza nuova.
Tuttavia, è proprio durante quei periodi che occorre prestare attenzione alle percezioni interiori senza lasciarsi travolgere dai vissuti di separazione e mancanza.
In una zona della nostra consapevolezza la presenza di chi amiamo rimane sempre identica a se stessa e possiamo percepirla con la medesima chiarezza di quando aveva un corpo.
Questo spiega perché non riusciamo a credere subito alla morte di chi è stato importante per noi.
“Me lo devo ricordare…”
“Devo dirmi che adesso non c’è più…”
“Non mi sembra possibile…”
“Non riesco a crederci…”
Tutte queste affermazioni indicano come la percezione della presenza rimanga invariata anche dopo la perdita del corpo.
Purtroppo, una cultura funerea della morte ci spinge a non ascoltare le sensazioni interiori.
“Non c’è più”
Ripetiamo con tristezza.
E così facendo precludiamo a noi stessi la possibilità di evolvere il legame sperimentando ancora la vicinanza dei nostri cari.
La morte è un’esperienza che, privandoci di ogni riferimento materiale, ci costringe a prendere atto dell’immaterialità della nostra vita.
Ciò che è concreto, infatti, costituisce solo una piccola parte di ciò che è vero.
La maggior parte della realtà che viviamo non è materiale (e compete al cuore).
Il nostro benessere psicologico riguarda l’immaterialità.
Pensieri e stati d’animo sono intangibili ma generano la salute e la sofferenza mentale da cui dipende la qualità della nostra vita.
La felicità, la serenità e l’armonia che tutti desideriamo sono percezioni interiori e hanno ben poco a che fare con la concretezza.
Quando muore qualcuno che amiamo la sua mancanza si sovrappone alla percezione interiore della presenza impedendo l’ascolto e l’incontro.
Per superare il rigido schema materialistico che nega qualsiasi contatto con chi è privo di corpo bisogna fare uno sforzo e lasciarsi guidare dal cuore che ci spinge a ritrovare i nostri cari.
La difficoltà sta nel gestire la percezione della loro assenza fisica…
Infatti, non appena si entra in contatto con il legame (che ci unisce a chi non ha più un corpo permettendoci di ritrovarlo), la presenza si annuncia con i ricordi.
I ricordi sono come un avatar, un’icona che rende riconoscibile chi non ha più un corpo a chi il corpo lo possiede ancora.
Sono il segnale del contatto, un modo per farsi riconoscere.
Ma, non appena compaiono i ricordi ad annunciare la presenza di coloro che amiamo e che stiamo cercando, ecco che la mancanza fisica prevale e ci sommerge di dolore… ostacolando in questo modo qualunque contatto!
La sofferenza ci impedisce di ascoltare le impalpabili percezioni interiori.
È come un rumore di fondo che sovrasta la melodia dell’incontro.
Per entrare in rapporto con chi non ha più un corpo bisogna comprendere che i ricordi indicano la sua presenza.
E lasciarsi attraversare da quei flashback senza scivolare nella mancanza.
Se ci si abbandona al processo naturale del ricongiungimento le memorie e l’attuale presenza incorporea si fondono in un’unicità che ci comprende fino a diventare un tutt’uno.
(Il cuore utilizza sempre una modalità percettiva soggettiva perché funziona seguendo le competenze dell’emisfero destro del cervello.)
Non ci sono più un io, un tu e uno scorrere del tempo, prima e dopo.
C’è un’unione presente senza tempo che coinvolge.
Questa è la modalità affettivadi sperimentare la realtà.
Ma di solito…
La mente non lo sopporta.
La logica si ribella.
E l’incontro… sfugge via!
Per riuscire a mantenere l’unione occorre accettare lo smarrimento della logica senza spaventarsi e senza reprimerlo.
Quando la mente lascia che sia il cuore a guidarla si accede a una diversa consapevolezza e il legame con chi abbiamo amato ci conduce spontaneamente a ricongiungerci.
Nello spazio del cuore sono possibili gli incontri e le comunicazioni.
Per arrivarci bisogna abituarsi alla rarefazione della fisicità e della materialità.
E soprattutto è necessario permettersi di rinunciare all’oggettività.
Il cuore utilizza la coscienza soggettiva.
Le esperienze interiori sono sempre individuali e sono possibili solamente così.
Questo non vuole dire che ce le siamo inventate.
Vuol solo dire che non sono ripetibili.
Sono uniche.
Nessun legame è uguale a un altro.
Ogni unione è diversa e speciale.
Ogni esperienza del cuore si esprime con modi propri.
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